Il Pd licenziato dai lavoratori: primo partito tra chi guadagna 5mila euro

Scala sociale. La destra forte in tutte le fasce di reddito, i dem primo partito solo tra chi guadagna più di 5 mila euro al mese. I Cinque Stelle avanti nei settori popolari

Fratelli d’Italia cresce, il Pd è in ritardo, Azione e Italia Viva restano lontane dal 10% e il Movimento 5 Stelle si colloca al terzo posto tra i partiti, con ampio margine sulla Lega di Matteo Salvini. I numeri del sondaggio realizzato da Cluster17 per Il Fatto Quotidiano disegnano una cartina politica che ha confini sempre più chiari e definiti, in vista del voto del 25 settembre: il dominio del centrodestra non è in discussione, la distanza tra i due poli (44,8% contro 27,4%) non sembra colmabile. Mentre le sorprese, o almeno i maggiori spunti di riflessione, sono nella composizione sociale e anagrafica del voto ai partiti.

La classifica. Quello di Giorgia Meloni è sempre più nettamente il primo partito (24,4%): la forbice con il Pd si allarga e arriva a lambire i 4 punti (20,8% per i dem). Segue il M5S (14,1%), ancora in ripresa e sempre più distante dalla Lega (11,3%). Forza Italia (8,4%) resta avanti alla lista Calenda-Renzi (6,8%). Sopra alla soglia di sbarramento anche l’alleanza Verdi-Sinistra (3,6%) e Italexit di Gianluigi Paragone (3,3%). Sotto, invece, tutti gli altri: compresi Unione Popolare (1,2%), +Europa (2,4%) e Luigi Di Maio con Impegno civico (0,6%).

I flussi tra partiti. Rispetto alle ultime Politiche, Meloni “ruba” elettori in tutti i campi. Principalmente tra i suoi alleati – FdI prende quasi la metà del voto leghista del 2018 (il 44%) e oltre un terzo di quello berlusconiano (38%) – ma anche tra gli avversari: il 17% degli ex elettori grillini stavolta metterà una croce sul simbolo con la fiamma tricolore. Il Movimento in questi quattro anni e mezzo ha lasciato per strada oltre la metà dei suoi voti: secondo i dati di Cluster17 ne confermerà solo il 46%. Peggio fa la Lega, che mantiene appena il 39% del suo patrimonio elettorale. Il Pd cede il 15% a Calenda e Renzi, mentre solo il 46% degli elettori di LeU seguiranno i propri dirigenti nella lista col Pd: il 20% di loro preferisce il M5S.

Il voto per età. Il voto dei giovani è notoriamente orientato verso i partiti più progressisti, ma la distanza tra sinistra e destra in queste fasce d’età è clamorosa, nel confronto con il resto della popolazione. Tra i neo elettori (18-24 anni), il primo partito è il Pd (20%), seguito dal M5S (15%), dai rosso-verdi (14%) e dagli “azionisti” (13%). Meloni e gli altri (compresi tra il 4 e il 6%) finiscono sotto anche alla sinistra radicale di Unione Popolare (9%). Nella fascia tra i 25 e i 34 anni invece svettano i Cinque Stelle (22%), ma Fratelli d’Italia si avvicina (19%) e supera il Partito democratico (16%). Quello di Giorgia Meloni è il partito dominante nelle fasce d’età centrali (35-64), soprattutto dopo i 50 anni, dove raccoglie il 31%, quasi il doppio del secondo partito (il Pd con il 17%). Più in generale, il centrosinistra mostra una debolezza chiarissima tra gli elettori in età lavorativa: “È all’interno di queste fasce d’età – sottolinea il report di Cluster17 – che oggi si fa la differenza tra il centrodestra e il centrosinistra”. Va molto meglio con i pensionati: il Pd torna primo partito tra chi ha più di 65 anni (31% contro il 26 di FdI).

Il voto per occupazione. Decenni di desertificazione nel rapporto tra i partiti di sinistra e i settori popolari troveranno la definitiva consacrazione nel voto del 25 settembre. Il Pd è quasi irrilevante nel voto operaio, dove non raggiunge il 10%. Ancora peggio, in termini comparativi, il risultato dell’alleanza tra Verdi e Sinistra (1%). Il Movimento 5 Stelle, che sta tentando di convincere questo elettorato con un programma “di sinistra”, si issa fino al 20%. Un buon risultato, ma comunque inferiore a quello di Fratelli d’Italia (28%) e Lega (21%). I Cinque Stelle sono il secondo partito tra lavoratori autonomi, commercianti e artigiani (21%) e anche tra gli “economicamente inattivi”, giovani e disoccupati: Conte e i suoi arrivano al 18%. Invece il Pd, come prevedibile, ha il suo bastione elettorale, oltre che nei pensionati, nella borghesia benestante e acculturata: tra i dirigenti e nelle professioni intellettuali il partito di Letta ottiene il 34% (lo stesso segmento in cui Azione e Italia Viva raggiungono la percentuale più alta, l’11%). La forza di Fratelli d’Italia è anche nella sua consistenza trasversale a tutte queste categorie lavorative: in nessun caso va sotto al 20%, tranne tra gli inattivi.

Il voto per reddito. Il Movimento attrae i redditi bassi ed è primo partito (28%) tra chi guadagna meno di 1.000 euro al mese. Le preferenze per i Cinque Stelle sono inversamente proporzionali al reddito di chi vota. Esattamente il contrario del Pd, le cui percentuali crescono insieme alle tasche degli elettori: tra i 1.000 e i 1.500 euro al mese raccoglie l’11%, fino ai 2.000 euro sale al 17%, tra i 2.000 e i 3.000 raggiunge il 24%, tra i 3.000 e i 5.000 vola al 28%. Oltre i 5.000 euro di reddito, per Enrico Letta è un trionfo: il suo è nettamente il primo partito tra i ricchi, ne convince più di uno su tre (35%). Meloni invece è competitiva in tutte le fasce reddituali, Forza Italia (a sorpresa) va particolarmente forte tra chi guadagna tra i mille e i 1.500 euro al mese (16%), oltre che tra i ricchi da 5.000 euro in su (12%). Uno spunto di riflessione per Unione Popolare: la lista guidata da Luigi de Magistris non buca nelle fasce più povere, mentre raggiunge il 2% solo nel gruppo benestante tra i 2 e i 3.000 euro al mese.

*Aggiornato da redazione web alle 12 e 30 dell’8 settembre 2022

oppure

Fratelli d’Italia cresce, il Pd è in ritardo, Azione e Italia Viva restano lontane dal 10% e il Movimento 5 Stelle si colloca al terzo posto tra i partiti, con ampio margine sulla Lega di Matteo Salvini. I numeri del sondaggio realizzato da Cluster17 per Il Fatto Quotidiano disegnano una cartina politica che ha confini sempre più chiari e definiti, in vista del voto del 25 settembre: il dominio del centrodestra non è in discussione, la distanza tra i due poli (44,8% contro 27,4%) non sembra colmabile. Mentre le sorprese, o almeno i maggiori spunti di riflessione, sono nella composizione sociale e anagrafica del voto ai partiti.

La classifica. Quello di Giorgia Meloni è sempre più nettamente il primo partito (24,4%): la forbice con il Pd si allarga e arriva a lambire i 4 punti (20,8% per i dem). Segue il M5S (14,1%), ancora in ripresa e sempre più distante dalla Lega (11,3%). Forza Italia (8,4%) resta avanti alla lista Calenda-Renzi (6,8%). Sopra alla soglia di sbarramento anche l’alleanza Verdi-Sinistra (3,6%) e Italexit di Gianluigi Paragone (3,3%). Sotto, invece, tutti gli altri: compresi Unione Popolare (1,2%), +Europa (2,4%) e Luigi Di Maio con Impegno civico (0,6%).

I flussi tra partiti. Rispetto alle ultime Politiche, Meloni “ruba” elettori in tutti i campi. Principalmente tra i suoi alleati – FdI prende quasi la metà del voto leghista del 2018 (il 44%) e oltre un terzo di quello berlusconiano (38%) – ma anche tra gli avversari: il 17% degli ex elettori grillini stavolta metterà una croce sul simbolo con la fiamma tricolore. Il Movimento in questi quattro anni e mezzo ha lasciato per strada oltre la metà dei suoi voti: secondo i dati di Cluster17 ne confermerà solo il 46%. Peggio fa la Lega, che mantiene appena il 39% del suo patrimonio elettorale. Il Pd cede il 15% a Calenda e Renzi, mentre solo il 46% degli elettori di LeU seguiranno i propri dirigenti nella lista col Pd: il 20% di loro preferisce il M5S.

Il voto per età. Il voto dei giovani è notoriamente orientato verso i partiti più progressisti, ma la distanza tra sinistra e destra in queste fasce d’età è clamorosa, nel confronto con il resto della popolazione. Tra i neo elettori (18-24 anni), il primo partito è il Pd (20%), seguito dal M5S (15%), dai rosso-verdi (14%) e dagli “azionisti” (13%). Meloni e gli altri (compresi tra il 4 e il 6%) finiscono sotto anche alla sinistra radicale di Unione Popolare (9%). Nella fascia tra i 25 e i 34 anni invece svettano i Cinque Stelle (22%), ma Fratelli d’Italia si avvicina (19%) e supera il Partito democratico (16%). Quello di Giorgia Meloni è il partito dominante nelle fasce d’età centrali (35-64), soprattutto dopo i 50 anni, dove raccoglie il 31%, quasi il doppio del secondo partito (il Pd con il 17%). Più in generale, il centrosinistra mostra una debolezza chiarissima tra gli elettori in età lavorativa: “È all’interno di queste fasce d’età – sottolinea il report di Cluster17 – che oggi si fa la differenza tra il centrodestra e il centrosinistra”. Va molto meglio con i pensionati: il Pd torna primo partito tra chi ha più di 65 anni (31% contro il 26 di FdI).

Il voto per occupazione. Decenni di desertificazione nel rapporto tra i partiti di sinistra e i settori popolari troveranno la definitiva consacrazione nel voto del 25 settembre. Il Pd è quasi irrilevante nel voto operaio, dove non raggiunge il 10%. Ancora peggio, in termini comparativi, il risultato dell’alleanza tra Verdi e Sinistra (1%). Il Movimento 5 Stelle, che sta tentando di convincere questo elettorato con un programma “di sinistra”, si issa fino al 20%. Un buon risultato, ma comunque inferiore a quello di Fratelli d’Italia (28%) e Lega (21%). I Cinque Stelle sono il secondo partito tra lavoratori autonomi, commercianti e artigiani (21%) e anche tra gli “economicamente inattivi”, giovani e disoccupati: Conte e i suoi arrivano al 18%. Invece il Pd, come prevedibile, ha il suo bastione elettorale, oltre che nei pensionati, nella borghesia benestante e acculturata: tra i dirigenti e nelle professioni intellettuali il partito di Letta ottiene il 34% (lo stesso segmento in cui Azione e Italia Viva raggiungono la percentuale più alta, l’11%). La forza di Fratelli d’Italia è anche nella sua consistenza trasversale a tutte queste categorie lavorative: in nessun caso va sotto al 20%, tranne tra gli inattivi.

Il voto per reddito. Il Movimento attrae i redditi bassi ed è primo partito (28%) tra chi guadagna meno di 1.000 euro al mese. Le preferenze per i Cinque Stelle sono inversamente proporzionali al reddito di chi vota. Esattamente il contrario del Pd, le cui percentuali crescono insieme alle tasche degli elettori: tra i 1.000 e i 1.500 euro al mese raccoglie l’11%, fino ai 2.000 euro sale al 17%, tra i 2.000 e i 3.000 raggiunge il 24%, tra i 3.000 e i 5.000 vola al 28%. Oltre i 5.000 euro di reddito, per Enrico Letta è un trionfo: il suo è nettamente il primo partito tra i ricchi, ne convince più di uno su tre (35%). Meloni invece è competitiva in tutte le fasce reddituali, Forza Italia (a sorpresa) va particolarmente forte tra chi guadagna tra i mille e i 1.500 euro al mese (16%), oltre che tra i ricchi da 5.000 euro in su (12%). Uno spunto di riflessione per Unione Popolare: la lista guidata da Luigi de Magistris non buca nelle fasce più povere, mentre raggiunge il 2% solo nel gruppo benestante tra i 2 e i 3.000 euro al mese.

*Aggiornato da redazione web alle 12 e 30 dell’8 settembre 2022