L’inchiesta di Firenze

Berlusconi e l’accusa di stragi: ecco cosa hanno in mano i pm

La memoria - I magistrati hanno depositato un documento su quanto raccolto nel corso della loro indagine: dalle parole di Graviano alla perizia sui soldi in Fininvest nel ’77

Di Fq
17 Luglio 2022

Il 30 maggio i procuratori aggiunti di Firenze Luca Turco (reggente) e Luca Tescaroli hanno depositato una memoria al Tribunale del Riesame chiamato a decidere sui sequestri effettuati nei confronti dei familiari del boss Giuseppe Graviano, terzi non indagati. La memoria ricostruisce gli elementi raccolti nell’inchiesta che vede indagati per concorso in stragi Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri in relazione a un presunto ruolo di ‘mandanti esterni’ delle stragi del 1993 a Milano e Firenze (10 morti) e degli attentati di Roma contro le basiliche di San Giorgio e San Giovanni e contro il conduttore tv Maurizio Costanzo più l’attentato fallito allo stadio Olimpico del gennaio 1994. Accuse enormi, smentite dagli indagati, già più volte archiviate in passato, e tutte da dimostrare. Accuse che vanno però raccontate all’opinione pubblica, perché riguardano personaggi di primo piano e un momento di svolta della storia recente del Paese. Su tutto questo è calato un muro di silenzio invece. Quello che pubblichiamo è il testo della memoria dei magistrati fiorentini.
Marco Lillo e Valeria Pacelli

L’ipotesi di accusa da verificare (…) è la seguente: i rapporti preesistenti e protrattisi sino al periodo interessato dalle stragi e la ricostruzione dei flussi finanziari intercorrenti tra gli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri ed esponenti di cosa nostra e, Giuseppe Graviano in particolare, nel quadro di una reciprocità di interessi, rappresentano il terreno fertile sul quale si è costruita l’intesa stragista che ha portato all’esecuzione delle sei stragi pianificate nel biennio 1993-1994, nell’arco compreso tra il 14 maggio 1993 e il 23 gennaio l994 (cioè dall’attentato contro Maurizio Costanzo alla tentata strage allo stadio Olimpico di Roma, passando per le stragi di Firenze vicino agli Uffici e di Milano, davanti al PAC, Ndr).

L’esistenza di un accordo delineato nei soggetti aderenti, nei tempi, nei modi e negli interessi reciproci delle parti, con maggiore intensità per l’attentato allo Stadio Olimpico, pianificato per il 23 gennaio 1994, diretto a colpire i carabinieri, trova il proprio nucleo:

1. nella specifica, reiterata e qualificata chiamata in correità de relato di Gaspare Spatuzza, responsabile dell’aliquota che ha eseguito le stragi nel continente che ci occupano, il quale ha come fonte diretta di conoscenza una delle parti dell’accordo, Giuseppe Graviano – (capo mandamento di Brancaccio, al quale è subentrato a seguito dell’arresto di quest’ultimo il 27 gennaio 1994), indicato quale porgitore della notizia nell’incontro di Campofelice di Roccella, svoltosi tra la fine di novembre inizi di dicembre 1993, e all’interno del bar Doney, in via Veneto, a Roma nel gennaio 1994, – e il fratello Filippo, nel 2004; (…)

2. nelle indicazioni fornite da Giuseppe Graviano nel corso dei colloqui intercorsi nella Casa Circondariale di Ascoli Piceno nel periodo di socialità con Umberto Adinolfi:

– il 10 aprile 2016: “lui mi disse, dice: ‘ci volesse una bella cosa’” (ore 13,03:36), facendo riferimento a Silvio Berlusconi e nel contenuto del correlato video, dal quale emerge che l’oggetto della richiesta: un evento esplosivo. Egli, infatti, dapprima percuoteva la spalla sinistra di Adinolfi, utilizzando la mano destra in posizione cosiddetta ‘a taglio’, dopodiché la chiude a pugno e la muove ritmicamente due volte orizzontalmente, per poi, appoggiarla a palmo aperto sul petto di Adinolfi (vedi annotazione del 16 marzo 2022 di prot. n. 3116-2022, predisposta dagli appartenenti al Centro Operativo Dia di Firenze);

– il 14 marzo 2017: Graviano proferiva una chiara accusa (ore 09,04:34): “.. e ho aspettato fino adesso perché ho cinquantaquattro anni e i giorni passano, gli anni passano, sto invecchiando eh no! tu mi stai facendo morire in galera.. senza io aver fatto niente.. che sei tu l’autore.. ( ore 09:04:54), scusami Umbè.. io.. ho aspettato.. senza tradirti.. ma ti viene ogni tanto in mente.. di passarti la mano sulla coscienza.. se è giusto che per i soldi.. tu fai soffrire le persone così?.”

3. nelle omogenee, sia pure meno circostanziate rispetto a quelle di Spatuzza, chiamate in correità nei confronti di Silvio Berlusconi dell’esecutore materiale Pietro Romeo (…)

– nelle indicazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio, il quale, in data 8/10/18 e 20 luglio 2020, ha riferito in ordine a narrazioni ricevute da Vincenzo Ferrara circa accordi con Forza Italia, per il tramite di Marcello Dell’Utri, afferenti all’art. 41 bis ord. pen., la chiusura delle carceri di Pianosa ed Asinara, nonché in ordine a narrazioni ricevute da Angelo Ilardo circa la partecipazione di Marcello Dell’Utri all’ideazione del progetto stragista di Firenze e Milano;

– il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, in data 16/10/18, ha riferito in ordine a un incontro di Giuseppe Graviano con Silvio Berlusconi;

– il collaboratore di giustizia Francesco Squillaci, in data 19/9/18, ha riferito in ordine alla posizione di Marcello Dell’Utri nell’ambito del progetto di attentato al collaboratore di giustizia Totuccio Contorno ideato dai fratelli Graviano, sottolineando che suo padre gli aveva detto che (…) i predetti Graviano gli dissero “che erano riusciti a individuarlo a Roma attraverso un politico importante, amico intimo di Filippo e di Giuseppe Graviano, di nome Marcello Dell’Utri(…)”.

Giuseppe Graviano, nell’interesse di cosa nostra, ha rappresentato il cuore pulsante dello stragismo, contribuendo a elaborare le finalità, a dare il via all’ondata stragista del 93-94, dosandone correlativamente le tempistiche di esecuzione (in particolare, quella dell’attentato allo stadio Olimpico eseguito il 23 gennaio 1994), e lo stesso ha trascorso parte della sua latitanza al Nord e, segnatamente, a Milano, ove ha riferito di aver incontrato Silvio Berlusconi e ove veniva arrestato il 27 gennaio 1994.

Nel suo racconto Giuseppe Graviano ha ricollegato l’ultimo incontro effettuato con Silvio Berlusconi nel dicembre del 1993 (anche le indicazioni di Giovanni Brusca inducono a ritenere che vi siano stati incontri tra i due) e quello programmato per il 14 febbraio 1994 alle restituzioni dovute all’originario investimento di venti miliardi di lire nelle iniziative imprenditoriali di Silvio Berlusconi e agli accordi da formalizzare: “L’ultimo incontro che ho avuto con Silvio Berlusconi è avvenuto nel dicembre 1993 nel corso del quale ci accordammo per formalizzare l’accordo di partecipazione societaria davanti a un notaio per la data mi sembra del 14/02/94” (cfr. verbali del 1 aprile 2021 e del 20 novembre 2020).

Il decreto di perquisizione e sequestro è stato indirizzato a verificare le recenti dichiarazioni rese a questa Procura da Giuseppe Graviano, in relazione al possesso attuale di documenti utili alle indagini.

Quanto sì è ricercato con la perquisizione è strettamente correlato e non via meramente occasionale alla verifica della sussistenza dell’intesa stragista, dal momento che Giuseppe Graviano ha dosato le tempistiche di esecuzione dell’attentato allo stadio Olimpico eseguito il 23 gennaio 1994 “per dargli il colpo di grazia” nel senso che già la vittima intesa come lo Stato, al 90 per cento era spacciata, occorreva rafforzare quello che noi avevamo già nelle mani e cioè l’accordo con Berlusconi e Dell’Utri” (secondo Spatuzza), a ridosso delle competizioni politiche del 27-28 marzo 1994, che hanno visto l’affermazione del partito politico di Forza Italia, guidato da Silvio Berlusconi, costituito con il determinante apporto di Marcello Dell’Utri, sostenuto da cosa nostra, che ha indirizzato i voti verso tale partito politico come hanno riferito più collaboratori di giustizia (fra i quali, Antonino Giuffrè, rif. verbali dell’8 novembre 2002 e del 15 giugno 2021 in stralcio, e il citato Francesco Squillaci), la ricostruzione dei rapporti economici tra il citato Graviano e gli odierni indagati Berlusconi e Dell’Utri – come la ricerca e l’individuazione del documento (esistente secondo Graviano ma non consegnato da parte dello stesso) che dà conto del versamento di venti miliardi di lire a Silvio Berlusconi – nel loro sviluppo nel corso del tempo e, in particolare, proprio nel periodo coincidente con la decisione sull’esecuzione dell’attentato in via dei Gladiatori (Stadio Olimpico di Roma, Ndr). (…)

Nel caso di specie, si tratta di verificare un’ipotesi di accusa correlata a sette eventi stragisti con finalità terroristico eversiva, che è ancorata anche ai rapporti economici e alle reciproche utilità intercorrenti tra i protagonisti dell’intesa stragista. Un agire che si colloca nel più ampio progetto terroristico eversivo, ideato nell’autunno del 1991, sintetizzato dalle parole di Salvatore Riina: “bisogna prima fare la guerra prima di fare la pace”, riportate da Filippo Malvagna, che rappresentano un ragionamento politico. A seguito del nefasto esito del maxiprocesso, derivante dalla sentenza della Corte di Cassazione del 30 gennaio 1992 e del conseguente insuccesso dei tentativi di condizionarne l’esito, cosa nostra ha colpito gli acerrimi nemici e i tradizionali referenti politico istituzionali. Con il ricatto a suon di bombe, attuato con otto stragi (due in Sicilia e sei nel continente) e plurimi omicidi, i vertici del sodalizio hanno voluto fare una guerra allo Stato per piegarlo e indurlo a trattare, in un periodo di sfaldamento dei partiti di governo, falcidiati dalle indagini su Tangentopoli. E ciò al fine di creare un assetto di potere ritenuto funzionale alle proprie aspettative riannodando il rapporto politico mafioso sfaldato con altri referenti, condizionando la politica legislativa del governo e del Parlamento (ottenere vantaggi sul terreno carcerario – l’abolizione del carcere duro di cui all’art. 41 bis O. P. e dell’ergastolo – su quello del pentitismo e del sequestro dei beni) e riannodando il rapporto politico mafioso sfaldato con altri referenti nel quadro di più trattative avviate da esponenti delle istituzioni o da loro emissari con appartenenti a cosa nostra. Sette stragi eseguite con successo e, dunque, palesatesi obiettivamente, che indussero il premier Carlo Azeglio Ciampi a dire di “aver temuto un colpo di Stato”, eseguite nel territorio italiano nell’arco di quattordici mesi, dal 23 maggio 1992 al 28 luglio ‘93 (il riferimento è alle stragi di Capaci e di via Mariano d’Amelio; all’attentato a Maurizio Costanzo del 14 maggio 1993, due giorni dopo l’insediamento del governo Ciampi, in cui erano inseriti per la prima volta in Italia, esponenti del PDS, l’ex partito comunista; alla strage di via dei Georgofili del 27 maggio 1993; alle stragi, eseguite nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993, allorché esplosero, quasi simultaneamente, tre autobombe: la prima a Milano, in via Palestro, che provocò cinque morti e una decina di feriti e distrusse il padiglione di arte contemporanea; la seconda, a Roma, danneggiò la basilica di San Giovanni in Laterano e il palazzo lateranense e provocò 14 feriti; la terza, ancora a Roma, procurò il ferimento di tre persone e gravi danni alla basilica di San Giorgio al Velabro. Una strage ulteriore allo stadio Olimpico di Roma, programmata per il 23 gennaio ‘94, con lo scopo di eliminare, con un’autobomba, decine di carabinieri, in servizio di ordine pubblico, non verificatasi per un malfunzionamento del telecomando. La strage dell’Olimpico non è stata ripetuta, certamente non per l’assenza di risorse da parte di cosa nostra, tenuto conto che Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagatella e Giovanni Brusca erano in libertà (e Bagarella vi è rimasto sino al giugno del 1995; Brusca sino al 1996 e Messina Denaro lo è a tutt’oggi). I vertici dell’organizzazione volevano agevolare un assetto di potere ritenuto funzionale alle loro aspettative. La paura e lo sconcerto generato nella popolazione da un nuovo attentato avrebbe dimostrato l’inadeguatezza del governo in carica a tutelare la sicurezza della collettività e costituito un ulteriore spunto per assicurare l’avvicendamento e creare le premesse per l’affermazione di un “uomo forte”. Nel nuovo governo rivestiva un ruolo fondamentale Silvio Berlusconi, alla guida del partito vincitore delle elezioni e Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso per i suoi rapporti accertati con cosa nostra, il quale ha svolto un ruolo di tramite tra il sodalizio mafioso e Berlusconi nel quadro di reciproci interessi e utilità ed è risultato legato a diversi esponenti di cosa nostra. Segnatamente, è stato riconosciuto colpevole di aver svolto un’opera di intermediazione nel raggiungimento di “un accordo che prevedeva la corresponsione, da parte di Silvio Berlusconi, di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione a lui accordata da parte di ‘cosa nostra’ palermitana. Tale accordo era fonte di reciproco vantaggio per le parti che ad esso avevano aderito grazie all’impegno profuso da Dell’Utri: per Silvio Berlusconi esso consisteva nella protezione complessiva sia sul versante personale che su quello economico” (p. 46 e 47 sent. 9 maggio 2014 motivazione depositata l’1 luglio 2014), che si è snodato dal 1974 al 1992 (v. p. 69 e 70 della sent. della Corte di Cass. del 9 maggio 2014 citata).

E ciò dunque ha indotto i vertici dell’organizzazione a ritenere di aver raggiunto l’obiettivo, rendendo non più necessario rimettere in cantiere l’attentato. Giuseppe Graviano, secondo Spatuzza, ha, infatti riferito che avevano il paese nelle mani grazie a Berlusconi e Dell’Utri. Il 1 febbraio 1994 era previsto, va rimarcato, l’incontro tra Graviano e Berlusconi per formalizzare gli accordi.

In tale realtà, la verifica della sussistenza o meno di investimenti riconducibili a cosa nostra, effettuati a favore di Silvio Berlusconi, incorporati in un documento, diviene un dato idoneo a corroborare o meno l’attendibilità delle dichiarazioni di Giuseppe Graviano. Tali rapporti potrebbero giustificare o meno obblighi restitutori dell’indagato Berlusconi e renderebbe, ove provato, verosimili intese stragiste maturate proprio nel periodo in cui l’emissario di cosa nostra Giuseppe Graviano incontrava gli odierni indagati.

Le dazioni di chi beneficiava degli effetti derivanti dallo stragismo (creazione delle condizioni per l’ingresso sulla scena politica, con attacchi diretti al cuore dello Stato che si sono tradotti nell’indebolimento del governo Ciampi perché incapace di proteggere la collettività in quanto piegato da atti di guerra con finalità ricattatoria), che aveva ricevuto sostegno economico significativo nella fase iniziale della propria vita imprenditoriale [come si evince dalle indicazioni, fra l’altro, fornite da alcuni collaboratori di giustizia, come Francesco Di Carlo, il quale ha riferito che Stefano Bontate (assassinato il 23 aprile 1981) ha investito una somma di venti miliardi di lire, raccolta, in parte anche da Michele Graviano, padre di Giuseppe e Filippo, e che uno dei Pullarà si era recato da lui dopo la morte di Michele Graviano (ucciso il 7 gennaio 1982) per ricercare i soldi investiti dallo stesso Michele (cfr. verbale del 13 dicembre 2010), dato che viene corroborato dagli esiti della consulenza tecnica effettuata dell’11 maggio 2022, dalla quale emerge la mancata giustificazione della provvista , impiegata per l’iniezione di significative somme di denaro (16 miliardi e 940 milioni di lire indicati nella c.d. Lista Dal Santo, redatta tra il 20 ottobre 1978 e la data del 7 dicembre 1978, in cui è avvenuta la reintestazione dei crediti indicati nella lista citata a nome di Fininvest Roma, a partire dal 28 febbraio 1977 al 2 agosto 1978, di cui 12.150.000.000 di lire risultano già riportati nel bilancio di esercizio 1977 della società Finanziaria di investimento Fininvest spa, v. p. 204 e 223 dell’elaborato; dunque, il bilancio unitamente alla lista Dal Santo inducono a ritenere che il denaro sia entrato nel 1977 per quanto riguarda i circa 12 miliardi di lire; nel complesso i cc. tt. (consulenti tecnici, Ndr) hanno evidenziato ingressi privi di paternità per una somma di circa 43 miliardi di lire], e sostegno politico in occasione delle competizioni politiche sostanzialmente coeve alla fase finale dell’attacco terroristico costituiscono dati che diventano fondamentale accertare, che si correlano all’imputazione e che giustificano la lesione dei diritti di terzi saldamente legati al protagonista delle intese che ci occupano.

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