Perché Zelensky è uno Zero

Di Fabio Mini
21 Giugno 2022

La guerra in Ucraina ha portato alla ribalta mondiale il fenomeno Zelensky non tanto per aver vinto le elezioni presidenziali con una soap opera, e neppure per le doti di statista. Appena eletto provò a mantenere le promesse fatte in campagna: terminare il conflitto in Donbass, negoziare con Mosca e favorire la neutralità del Paese, ma l’ombra della forca proiettata su di lui e la sua famiglia dagli estremisti Dmitri Yarosh, leader di Pravy Sector e Serhiy Kvit del Movimento di resistenza alla capitolazione (CRM) gli fecero invertire la rotta.

Prima dell’invasione russa, a dispetto delle informazioni statunitensi, invitò gli ucraini a non cedere agli allarmismi, ma poche sibilanti parole “amiche” lo indussero ad interpretare il ruolo di Presidente di guerra. Un ruolo non facile ma che soltanto lui poteva svolgere: sia perché attore e sceneggiatore (anche nel senso napoletano), sia perché poteva allontanare i più che fondati sospetti di neo nazismo, razzismo e russofobia che pesavano sul suo governo. Lui, infatti, era stato democraticamente eletto, era di origine ebraica (quindi anti-nazista per definizione) e di lingua russa. E divenne perciò il protagonista della grande e fortunata operazione di marketing politico e influenza strategica tesa a mobilitare l’Occidente nella guerra contro la Russia. Da allora, il mondo occidentale guarda l’Ucraina con gli occhiali di Zelensky ed è vulnerabile perché conosce soltanto il suo copione. Ovviamente, gli anglo-americani che hanno fornito gli occhiali e dettato le battute erano ben attrezzati per conoscere, oltre alle potenzialità, i limiti e le vulnerabilità delle sceneggiate e i pericoli dei suoi eccessi. Primo tra tutti l’usura del personaggio che è stata aumentata dalla sovraesposizione mediatica indotta anche dall’atteggiamento acritico dei media.

Così, i registi hanno dovuto adattare il personaggio a vari cambiamenti di scena: da moderato ad aggressivo, da petulante ad arrogante, da militarista a pacifista, da vittima a eroe e martire. I “produttori” si sono invece trovati impreparati di fronte al successo del protagonista: non perché sia bravo o intelligente ma perché si è rivelato uno Zero, in senso matematico. Lo zero non è un numero dotato di valore proprio, è un operatore di posizione. Ogni zero messo dopo un numero lo aumenta di dieci volte, messo prima lo riduce di altrettanto; unito agli altri operatori di moltiplicazione e divisione lo annulla, posto alla potenza riduce qualsiasi numero ad uno. Soltanto con l’addizione o la sottrazione è ininfluente. Nel sistema binario i numeri non esistono ed entrambi i segni 0 e 1 sono operatori di posizione. Uno zero può facilmente amplificare o vanificare ogni operazione e perciò il controllo degli “zeri” è importante. Lo sanno bene gli americani che più volte hanno dovuto azzerare le proprie creature e narrazioni perché “sfuggite di mano”, come disse la segretaria di Stato Hillary Clinton a proposito dell’Isis, o come capitò al predecessore Colin Powell a proposito della narrazione sulle armi nucleari irachene, a G.W. Bush sull’11 settembre, a Trump sull’accordo con i talebani e a Biden sulla dissoluzione dell’esercito afghano dopo uno sforzo ventennale e trilioni di dollari per ricostituirlo nell’ambito di un regime “amico”. Quando le cose organizzate e condotte con tanta solerzia e dovizia di risorse “sfuggono di mano” o vanno fuori controllo i casi sono due: o sono talmente scivolose da non consentirne la gestione e allora sono state mal valutate, o le mani sono troppo deboli e allora la propria forza è stata mal valutata o mal impiegata.

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