Il confronto

Le nostre firme e i dilemmi su Russia e Ucraina

Colombo, Padellaro, Travaglio - Visioni opposte su storia e conflitto

Di Furio Colombo, Marco Travaglio e Antonio Padellaro
13 Maggio 2022

La lettera Sulla guerra, la Nato e i nemici, non capisco più il nostro giornale
All’improvviso mi sono trovato a scrivere su questo giornale – che avevo contribuito a far nascere, con Padellaro e Travaglio – accanto a un collega che non conoscevo e che non vorrei conoscere, caro a tutti coloro che pensano che l’America sia il vero pericolo dei popoli e delle democrazie, e che l’invio di armi ai resistenti invasi e assediati dal rischio imminente di distruzione totale sia un sacrilegio. E mi sono trovato a dover leggere il testo di un altro collega che mi racconta, al rovescio, la terrificante Guerra mondiale che ho vissuto e che conosco e ricordo da bambino in fuga, in una versione in cui Hitler era di origine ebraica e non aveva alcuna intenzione di fare la guerra che distruggerà l’Europa. Aggiungendo una affermazione che nega la Storia ed è inaccettabile anche come post verità in quella frase “i tedeschi (i tedeschi delle Fosse Ardeatine e di via Tasso) proteggevano gli italiani mentre gli americani invadevano il Paese, abbandonato a stupri e violenze in libertà”.
È inevitabile respingere visioni che portano disorientamento e informazioni inesistenti o distorte, se compaiono accanto al tuo lavoro nel giornale per cui scrivi, fiducioso, da molti anni. Ci sono decine di film italiani del primo Dopoguerra che raccontano l’immediata presa di possesso, dunque di occupazione dell’Italia, da parte dei comandi tedeschi nei giorni dell’Armistizio (8 settembre 1943). “Su di voi io ho carta bianca”, grida un ufficiale tedesco a militari italiani che non vogliono obbedire all’occupazione dell’Italia, eseguita dalla Wehrmacht, subito dopo l’uscita dell’Italia dalla guerra. Uno dei soldati, nel film di Steno, è l’attore Totò, che grida al tedesco: “Ci si pulisca il culo con quella carta”, frase celebre allora, e a mente fresca e memoria immediata oggi un documento.
Ma devo per forza notare e far notare che il primo dei due casi citati, Alessandro Orsini, entrato all’improvviso e con veemenza nel giornale di Travaglio e di Padellaro, ha funzionato come il frate che solleva i confratelli e i fedeli per riformare una chiesa. Dopo di lui niente è più come sembra, perché Orsini ha scosso con forza e con violenza la fiducia di chi legge e di chi scrive su un giornale su cui lascia una pesante impronta, una sorta di esclusiva. Non sono il solo in Italia a sapere che gli “studi” di Alessandro Orsini falsificano fino ai dettagli la storia di questo Paese e del contesto politico e umano di cui siamo parte. Ma non sono affatto maggioranza, anche se Orsini tenta tenacemente di apparire perseguitato. Con lui non siamo mai al dubbio o al suggerimento, ma alla affermazione o negazione assoluta priva di alternative. Come fai a scrivergli accanto? Chi dei due è il falsario? “Nei confronti di chi mi odia provo una certa compassione”, ha detto Orsini giorni fa all’Ansa. Pensate che qualcuno di noi possa accomodarsi nella sua compassione? Intanto, però, Orsini aggiunge: “L’esempio delle follie degli ultimi giorni riguarda l’ingresso di nuovi Paesi nella Nato, un pericolo enorme per l’umanità”. Pensate: Svezia e Finlandia presentate senza ridere come un pericolo enorme per l’umanità. Ma il pericolo enorme sarebbe più guerra russa, dunque smettete di provocare. Abbassatevi al livello giusto. Infatti prontamente il ministro russo Lavrov completa la frase di Orsini nella stessa giornata in cui scrivo: “Questa è una guerra che porrà fine al superpotere americano”. E dunque aprirà la strada al super potere russo che, per qualche ragione, per alcuni, non solo per Lavrov, è il preferito. Infatti la sera dell’11 maggio, la sala Umberto di Roma aveva esaurito i posti (ingresso a 25 euro) per ascoltare Orsini nello show Ucraina: tutto quello che non ci dicono, in cui tutti sono falsari tranne lui e tranne i suoi non pochissimi seguaci. È accorsa infatti una folla di personaggi autorevoli, da Alessandro Di Battista all’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, ognuno che esclamava entrando: “Finalmente possiamo sentire la verità”. La verità, in questo mondo perfettamente modellato sull’anti-vax (stessa persuasione esaltata di possedere una conoscenza superiore delle cose e dalla scoperta dell’inganno). E chi non capisce è un venduto.
Le parole chiave della nuova militanza sono tre: l’America (non è tollerato l’errore di dire “Russia”), che ha voluto e provocato la guerra con tutta la sua distruzione e i suoi morti e i suoi profughi, avvenuti a causa della Nato; le armi (non ne mandate a chi sta difendendo fino alla fine case, famiglie e città, altrimenti i russi, che si stanno difendendo dagli americani, dovranno continuare a bombardare); il pacifismo, molto raccomandato da Orsini se si tratta di resa e di togliere di mezzo un presidente vanitoso e ingombrante dell’Ucraina che si oppone a una realistica pace con consegna alla Russia delle parti già scelte del suo Paese.
L’invenzione della verità alternativa di Donald Trump ha fatto molta strada. Orsini, che studia molto, ne ha fatto il suo strumento preferito. Oppure si tratta di un’invenzione usata per tenere vivo il credente, e confondere gli avversari. Esempi: “Bisogna avere il coraggio di ammettere che Putin ha già vinto”. “Hitler non aveva alcuna intenzione di far scoppiare la Guerra mondiale”. “Questa è una guerra persa in partenza. O noi diamo a Putin quello che vuole o lui se lo prende lo stesso”. “Zelensky è un pericolo per la pace. Va abbandonato. Politicamente è un incapace”. “Il governo Draghi è un governo di burattini nella mani della Casa Bianca”. “Anche nelle dittature un bambino può essere felice”. L’invenzione della verità alternativa di Donald Trump ha fatto molta strada. E io una cosa so con certezza. Non voglio essere complice.
Furio Colombo

La risposta/1 Su pace e libertà di opinione, il faro è la Costituzione
Caro Furio, l’amicizia e la riconoscenza che mi legano a te dai tempi dell’Unità, dove mi accogliesti insieme a Padellaro nel 2002, mi spinge a pubblicare questa tua invettiva che nessun direttore, nemmeno tu all’Unità, pubblicherebbe mai. Perché contravviene a una regola non scritta ma aurea di tutti i giornali: scrivere tutto ciò che si pensa, ma senza metter le mani addosso e le dita negli occhi ad altri collaboratori. Cosa che tu fai col prof. Alessandro Orsini e con Massimo Fini (senza citarlo). Orsini e Fini, se vorranno, ti risponderanno. Io lo faccio subito per rispetto dei lettori, abituati a un giornale libero e plurale, non a un ballatoio di comari che si lanciano piatti e stracci.
Partiamo da Fini, “l’altro collega”. La sua controlettura del 25 Aprile riflette la sua visione provocatoria, peraltro arcinota a noi che lo leggiamo (e anche a te, che hai elogiato il suo ultimo libro), della guerra civile italiana in cui gli occupanti anglo-americani, purtroppo nostri nemici, per fortuna ci liberarono insieme ai partigiani italiani dagli occupanti nazisti, purtroppo nostri alleati. Peraltro Fini non ha mai scritto che Hitler fosse ebreo (l’ha detto Lavrov e lo scrissero alcuni storici, ripresi nel 2010 dal Corriere). Con il suo articolo ho fatto quel che faccio sempre con tutti (incluso te): l’ho letto, l’ho condiviso in parte, ma non tutto e l’ho pubblicato. Lerner mi ha inviato un pezzo polemico con Fini: l’ho condiviso in parte, ma non tutto e l’ho pubblicato, con una postilla per evitare l’effetto ballatoio delle repliche e controrepliche infinite.
Orsini non è arrivato al Fatto facendo irruzione manu militari (“entrato all’improvviso e con veemenza nel giornale”): l’ho chiamato io, appena ho saputo che la sua rubrica di geopolitica sul Messaggero non veniva più pubblicata perché si discostava dal pensiero unico sulla guerra e la sua università, sempre per le sue idee, gli creava seri problemi. Proprio per questo è nato il Fatto nel 2009: per dare un tetto a chi ha qualcosa da dire, ma non sa più dove dirlo. Due anni fa seppi che Lerner lasciava Repubblica perché non ci si riconosceva più: lo chiamai e gli dissi che il Fatto era casa sua, pur dissentendo con lui su molte cose. Idem Orsini: non aveva più un giornale, ora ce l’ha. E scrive liberamente il suo pensiero, che non collima certo con le frasette caricaturali (mai pubblicate sul Fatto, spesso mai neppure dette in tv) da te collezionate dalle “cronache” dei giornali dediti alla quotidiana character assassination per manipolare le sue tesi e farlo apparire una spia di Putin (anziché lo studioso che nel 2018, in Parlamento, predisse la guerra in Ucraina). Anche i testi di Orsini li leggo, in parte li condivido, in parte no, e li pubblico. Mi sarei aspettato un tuo plauso, visto che la terrificante Guerra mondiale che hai vissuto da bambino in fuga fu preceduta dal giuramento dei professori universitari al regime fascista: davvero ti pare uno che “tenta tenacemente di apparire perseguitato” un professore che per le sue idee viene ostacolato dal suo ateneo, si vede stracciare un contratto Rai già firmato e viene trascinato al Copasir, mentre il programma che osa ospitarlo è in odor di chiusura? L’idea poi che io abbia deciso come pensarla sulla guerra dopo il suo arrivo è bizzarra: pensavo le stesse cose anche prima, ispirandomi non a Orsini ma alla Costituzione. La lezione teatrale l’abbiamo organizzata noi per dargli modo di illustrare il suo pensiero senza insulti né interruzioni: una bella serata piena di informazioni e di cittadini (soprattutto giovani), quasi tutti nostri lettori vecchi e nuovi. C’erano anche Di Battista e Alemanno: avevano comprato il biglietto, dovevamo cacciarli a pedate? Mi autodenuncio: c’ero anch’io, alla sala Umberto, diversamente dal cronista de La Stampa che ha fatto dire a Orsini “Putin ha già vinto’” (frase mai detta quella sera). Non ho visto “anti vax” né sentito le frasi “chi non capisce è un venduto” e “tutti falsari tranne lui”. Forse la “verità alternativa” non è un’esclusiva di Trump.
Caro Furio, tu non condividi quello che scrivono Fini e Orsini e immagino che la cosa sia reciproca. Io, soprattutto sulla guerra in Ucraina, non condivido ciò che scrivi tu, ma pubblico tutto ciò che scrivi. Dov’è il problema? Siamo un giornale, non una caserma. Siamo in democrazia, mica in Russia. Sul Fatto c’è posto per tutti. Non esistono “falsari” né delinquenti, dunque “scrivere accanto” a un professore che la pensa diversamente non è “complicità”: è pluralismo. I nostri lettori sono così maturi da comprendere i nostri diversi punti di vista e poi formarsi un’opinione informata. Orgogliosi di un giornale che – unico in Italia e forse non solo – ospita dibattiti come questo. Senza filtri e senza limiti, salvo uno. Quando nascemmo, il 23 settembre 2009, Padellaro scrisse che la linea politica del Fatto è la Costituzione Repubblicana. Infatti è dall’Articolo 11 che deriva il nostro “no” fermo e risoluto all’invio di armi in una guerra fuori dalle nostre alleanze. Ed è l’Articolo 21 che tiene le nostre porte sempre aperte a chi viene censurato o attaccato per le proprie idee. Quindi sì, continueremo a essere il giornale di Colombo, di Fini, di Orsini e di tutte le altre firme che sono arrivate fin qui e che spero arriveranno ancora ad arricchire la nostra comunità di uomini liberi. Giornalisti e lettori.
Marco Travaglio

La risposta/2 Noi siamo nati per dare voce ai battitori liberi: ce li teniamo tutti stretti
Caro Furio, improvvisamente, dopo oltre mezzo secolo di vita nei giornali, mi trovo a leggere sul nostro giornale un aut aut (o qualcosa che gli somiglia) in cui non mi ero mai imbattuto prima. E che, al di là delle questioni di merito (delle quali oggi non scriverò, perché di Ucraina scrivo pressoché ogni giorno e chi ha la pazienza di leggermi conosce le mie idee) mi mette per la prima volta davanti a un difficile dilemma di natura professionale. Ma soprattutto sentimentale, se mi si passa un termine impegnativo che cercherò di spiegare. Non è e non potrebbe mai essere, invece, una scelta personale, poiché il professor Alessandro Orsini non l’ho ancora mai incontrato, anche se m’incuriosisce la sua originale visione delle questioni internazionali e il crescente seguito che riscuote tra i più giovani. Mentre con te, Furio, lo sai bene, dopo 22 anni di frequentazioni, si è creato un legame che non definirò. Poiché un’amicizia, che è da parte mia ammirazione, condivisione e gratitudine per quanto ho appreso da te, non può essere raccontata, ma solo vissuta con orgoglio. Anche il dilemma professionale non è poi così complicato da risolvere se, per un momento, sostituisco il nome del direttore in questione: non Marco Travaglio bensì Furio Colombo. Poiché avendo visto (e sperimentato) molto da vicino, nei nostri anni all’Unità, l’estremo rigore del direttore Furio Colombo nell’affrontare questioni spinose, che riguardavano anche forti incomprensioni e accese incompatibilità tra le firme di primo piano (se il giornalismo non fosse fatto pure di solenni litigate e, perché no, inimicizie tra vicini di scrivania sarebbe di una noia mortale), so che se messo di fronte a un drastico “o io o lui” non lo avresti neppure preso in considerazione. Mentre, sicuramente, avresti, come hai fatto tante volte, dato spazio sulle pagine del giornale alle ragioni di entrambi lasciando al lettore, come è giusto, l’ultima parola. È quello che ha fatto Marco con l’articolo a tua firma pubblicato qui accanto che esprime compiutamente il tuo dissenso sulla linea del giornale in merito all’aggressione di Putin all’Ucraina. Comprese le aspre valutazioni di tipo personale sulle quali, forse, il direttore Colombo avrebbe avuto qualcosa da eccepire. Non so se i collaboratori di questo giornale chiamati in causa vorranno replicare sul merito delle tue osservazioni.
Penso però che in questo modo, anche se dolorosamente, il Fatto Quotidiano e chi lo dirige, abbiano applicato, come è giusto, un sommo principio liberale al quale sappiamo tutti che nella tua straordinaria storia intellettuale non hai mai abdicato: non sono d’accordo con ciò che dici, ma darei la vita affinché tu possa dirlo. Forse la vita no, ma l’esercizio della tolleranza quello sicuramente sì. Vengo, infine, all’aspetto sentimentale che è quello a cui tengo di più, perché quando fondammo il nostro giornale eravamo tutti consapevoli che avremmo messo insieme un gruppo di eccellenti battitori liberi, tutti (o quasi tutti) impegnati ad argomentare un loro diverso e spesso diversissimo parere rispetto a quello del vicino di banco. E, non di rado (carta canta), perfino in garbato dissenso con la linea del direttore. Perché la linea del Fatto Quotidiano la facciamo noi, con le nostre opinioni, con le nostre arrabbiature, con i nostri errori. Perché in un giornale autenticamente libero nessuno vuole sentirsi uguale all’altro e non pretendiamo che nessun altro debba per forza sentirsi uguale a noi. Quante volte ci è capitato di non condividere (eufemismo) un editoriale, un articolo, una presa di posizione (a me su questa guerra certamente) ma abbiamo sempre cercato, tutti, di rispettarci nella nostra unicità. Che da 13 anni è la nostra autentica forza, il cemento che ci salda a un’appassionata comunità di lettori. Infatti, di Furio Colombo ce n’è uno solo. E ce lo teniamo stretto. Così come non esiste un altro Fatto Quotidiano, il vascello sul quale c’imbarcammo felici, con cui in questi anni abbiamo navigato contro tutto e tutti, e che non rinunceremo mai a difendere. Tuo, Antonio.
Antonio Padellaro

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