Speranze disattese

Greta addio: il 2022 rischia di essere l’anno del “Grey deal”

9 Maggio 2022

Un venerdì dell’agosto 2018 Greta Thunberg sedeva sola davanti al Parlamento svedese per invocare più coraggio nella lotta al cambiamento climatico. Greta è diventata l’icona di un movimento globale che ha spinto i governi a impegnarsi ad azzerare le emissioni nette di CO2 al 2050. Per allora si dovrà produrre il 95% in meno di carbone e il 60% in meno di petrolio rispetto ad oggi.

La recessione prodotta dal Covid nel 2020 aveva portato a una significativa diminuzione del consumo di petrolio. Molti avevano salutato l’avvento del “picco delle domanda” di greggio. Le previsioni dell’Agenzia internazionale per l’energia per il 2022 ipotizzano un ritorno al livello pre-pandemia di oltre 100 milioni di barili al giorno (mbg). Già a fine 2021, con la ripresa, è apparso chiaro che le fonti energetiche fossili non avevano gettato la spugna. L’alleanza tra i grandi esportatori di petrolio dell’OPEC+ si era accordata su tagli alla produzione ottenendo un rialzo dei prezzi; quelli del gas in Europa erano saliti di oltre 6 volte. La guerra ha fatto il resto, spingendo i prezzi ai massimi storici.

A beneficiarne sono state società petrolifere nazionali, multinazionali e grandi Paesi produttori occidentali come Usa e Norvegia. Per cercare di limitare l’aumento dei prezzi del petrolio l’amministrazione Biden ha rilasciato (con profitto) monumentali quantità di petrolio dalla sua riserva strategica (SPR) creata dopo il 1973 per far fronte alla crisi energetica. Ha già immesso 42 mbg e ne rilascerà altri 60 nei prossimi 6 mesi, senza risultati significativi. I Paesi europei, compresa la “verdissima” Danimarca, stanno riattivando le centrali a carbone per diminuire la dipendenza dal gas russo.

Il 2022 doveva essere l’anno dei “green deal”, delle rinnovabili e dell’elettrico, rischia di essere l’anno del “grey deal”, del gas, del petrolio e del nucleare. Non deve essere per forza così. Ci sono grandi possibilità di riduzione dei consumi; lo Stato può intervenire per investire nelle rinnovabili, senza attendere i privati e si può lavorare per rapporti cooperativi con i petrostati per rimediare a decenni di instabilità dei prezzi. La “mano invisibile” del mercato ci ha reso sempre più dipendenti dalle fossili. Sta allo Stato renderci indipendenti.

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