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Il conflitto è mutato: il Parlamento discuta ora un nuovo piano

27 Aprile 2022

Quando a inizio marzo venne votato alla Camera il decreto Ucraina, poi approvato con la fiducia al Senato, tra gli analisti militari e nelle cancellerie di tutto il mondo vi era un’idea prevalente. Quasi tutti pensavano che Putin fosse destinato a vincere la sua guerra d’aggressione in tempi brevi. Veniva dato per scontato che l’avanzata sarebbe stata veloce, che l’esercito ucraino avrebbe perso città su città, ma si riteneva che i russi avrebbero avuto grandi difficoltà a controllare i territori conquistati. Per questo i più vedevano l’invio di armi occidentali in Ucraina come un modo per costringere Mosca alle trattative.

L’idea era che se la Russia si fosse trovata ad affrontare una sorta di resistenza partigiana (fatta di imboscate e attentati come era avvenuto in Afghanistan) si sarebbe presto resa conto di non avere alternative al cessate il fuoco e a un accordo con ucraini e occidentali. Meglio per Putin, si diceva, poter esibire al suo interno una vittoria parziale dal punto di vista territoriale (riconoscimento della Crimea e di un Donbass allargato rispetto all’inizio del conflitto) piuttosto che impantanarsi in una guerra destinata a durare a lungo. Anche per questo allora venivano fornite solo armi leggere, semplici da usare, che in molti definivano difensive. Anche per questo il nostro Parlamento allora votò a larga maggioranza (ma con molti assenti) l’ok alle forniture. Il decreto non specificava che tipo di strumentazione sarebbe stata data a Kiev (gli elenchi, al contrario di altri democrazie, in Italia sono segreti), ma tutti gli osservatori pensavano che mai in Ucraina sarebbero arrivate armi pesanti come carri armati o cannoni semoventi.

Quello che finora è accaduto sul campo di battaglia ha però cambiato le carte in tavola. L’esercito russo è apparso meno forte e meno ben armato del previsto. Questo fatto, come ha spiegato Marta Dassù su Repubblica di ieri, ha spinto gli americani a mutare totalmente strategia: anche se è troppo presto per prevedere come andrà l’avanzata russa nel Sud e nell’Est del Paese, Washington si è convinta che Putin possa perdere o quantomeno non vincere. Tanto che il capo del Pentagono ha affermato: “Vogliamo la Russia indebolita al punto da non poter più fare il tipo di cose che ha fatto in Ucraina”. Londra è andata ancora più in là. E ha dichiarato legittimo l’utilizzo delle armi inglesi inviate a Kiev anche per attaccare obiettivi russi oltreconfine.

Nessuno, né in Gran Bretagna né negli Usa, ha potuto però escludere che un Putin messo alle corde possa tentare di risolvere la questione utilizzando in Ucraina armi nucleari tattiche (cioè molto meno potenti e devastanti rispetto alle atomiche tradizionali) in modo da costringere il presidente Zelensky alla resa. E nessuno è al momento in grado di prevedere quale potrebbe essere la risposta occidentale.

Il quadro rispetto al giorno in cui il nostro Parlamento diede l’assenso all’invio di armi è insomma profondamente cambiato. Per questo – visto che al contrario dei russi abbiamo la fortuna di vivere in una democrazia liberale – è giusto e doveroso che qualunque nuova decisione (a partire dall’invio di armi pesanti) venga ora presa dopo un approfondito dibattito parlamentare. Nessuno di noi può dire di avere in tasca la giusta soluzione per risolvere la crisi nata dall’aggressione di Putin. Ma da chi ci governa e rappresenta si pretende che, in un momento tanto difficile e pericoloso, ogni scelta sia frutto di ragionamenti approfonditi e soprattutto trasparenti.

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