Dalle parole ai fatti

Inazione climatica, 200 associazioni trascinano l’Italia in tribunale

Sono più di 1600 le cause, intentate in più di 40 paesi. E i casi in cui le corti accolgono le istanze di protezione presentate dai ricorrenti, sono sempre più numerosi e rilevanti. Ora anche nel nostro paese  gli ambientalisti hanno citato in giudizio il governo. L'accusa? Non fa abbastanza contro i cambiamenti climatici

Di Marica Di Pierri (Associazione A Sud)
23 Novembre 2021

Il 14 gennaio prossimo è fissata la prima udienza della prima azione legale climatica italiana. Una prima volta assoluta per il nostro Paese, per un appuntamento che vedrà la giustizia climatica entrare nelle aule del tribunale civile di Roma. L’obiettivo è spingere le istituzioni italiane a migliorare le politiche climatiche; il meta obiettivo quello di sensibilizzare, en passant, media e opinione pubblica.

Non si tratta di una novità nello scenario internazionale: negli ultimi anni le azioni legali in ambito climatico sono diventate in tutto il mondo la nuova frontiera di azione. Dopo i ripetuti fallimenti della governance – non da ultimi i deludenti risultati della Cop26 di Glasgow – e consapevoli che le mobilitazioni da sole, per quanto oceaniche, non bastano a indurre i policy maker a varare politiche efficaci, in sempre più Paesi la società civile sta varcando le soglie dei tribunali per coinvolgere i giudici nella battaglia per la giustizia climatica.

Dal 2017 al 2020 (anno di pubblicazione del primo e del secondo report della UNEP), le climate litigations sono quasi raddoppiate, e il trend è in continua crescita. Oggi sono più di 1600 le cause, intentate in più di 40 paesi. C’è di più: i casi in cui le corti accolgono le istanze di protezione presentate dai ricorrenti, sono sempre più numerosi e rilevanti.

In Europa a far scuola e ad aprire un varco è stato il processo Urgenda in Olanda, vinto nel 2019. Dopo l’Urgenda case si sono succedute altre clamorose vittorie giudiziarie nel vecchio continente: l’Affaire du Siècle in Francia, Neubauer in Germania, i casi in Irlanda e Belgio. Molti altri sono in corso. E nel 2021 è arrivato il turno dell’Italia.

Nel 2019 è stata lanciata dall’Associazione A Sud la campagna Giudizio Universale, per preparare il terreno al deposito dell’azione italiana. Oltre 100 organizzazioni hanno aderito alla campagna, dal movimento Friday for Future agli studenti della Rete della Conoscenza, alle associazioni Terra!, Fair Coop e Coordinamento No Triv, a società scientifiche come SMI – Società Meteorologica Italiana di Luca Mercalli e ISDEMedici per l’Ambiente – fino a decine di comitati e realtà associative sparse lungo tutta la penisola.

A essere citato in giudizio per inazione climatica è lo Stato italiano. L’impianto argomentativo è semplice: le istituzioni italiane conoscono perfettamente i pericoli sottesi all’emergenza climatica. Tale consapevolezza è contenuta in decine di dichiarazioni e atti di indirizzo del Parlamento e altri enti. Allo stesso modo, le istituzioni conoscono la straordinaria vulnerabilità del nostro Paese. Sanno che rischiamo di sacrificare tantissimo sull’altare dei cambiamenti climatici, con un territorio a rischio inondazioni, siccità, desertificazione ed eventi estremi come pochi altri. Con l’Accordo di Parigi, si sono impegnate a varare politiche in linea con il contenimento delle temperature medie globale entro i +1,5°C a fine secolo.

Ciononostante, l’Italia ha stabilito target di riduzione inadeguati, che disconoscono le raccomandazioni scientifiche e che se fossero prese ad esempio da tutti gli altri Paesi proietterebbero il pianeta verso uno scenario 2100 a +3°C.

Partendo da questi presupposti de facto, i 203 ricorrenti ritengono le politiche climatiche nazionali insufficienti e chiedono al giudice due cose: di dichiarare che lo Stato è responsabile di inazione climatica e di condannarlo a triplicare i target di riduzione delle emissioni. Le richieste del ricorso sono sostenute da dati scientifici ufficiali nonché da un report commissionato da A Sud a Climate Analytics, uno dei più accreditati centri studi sul clima. L’ente ha calcolato, in base al carbon budget nazionale e ai principi di responsabilità differenziate e di equità, che il nostro Paese dovrebbe diminuire le sue emissioni di ben il 92% entro il 2030 per poter rimanere in linea con gli accordi di Parigi. Circa il triplo dei timidi target attuali.

I prossimi mesi saranno di grande importanza per la lotta contro il tempo contro l’emergenza climatica. Oltre agli esiti del giudizio, molto importante è il sostegno dell’opinione pubblica all’iniziativa. Per questo, è stata lanciata su Change.org una petizione di sostegno, con cui chiedere al governo di aumentare considerevolmente i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni clima-alteranti.

L’emergenza climatica riguarda tutti e tutte: firmando, ci aiutate a dire al governo che la causa è – letteralmente – “in nome del popolo italiano”.

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