Salvini, la ‘mano calda’ si fa pesante: non ne azzecca una

17 Settembre 2021

Se avete giocato a basket o avete assistito a qualche partita sapete cosa significa “avere la mano calda”. Un’espressione, anzi un modo di dire, che descrive quel momento magico in cui un giocatore fa sempre canestro. Gli avversari lo marcano in uno, in due, in tre, ma è come se non ci fossero. Perché lui si alza e ciuff, la palla finisce puntualmente in retina.

Bene, Matteo Salvini, per molti mesi a partire dal 2018, ha avuto la mano calda. Anzi caldissima. Ogni sua dichiarazione, ogni suo intervento gli faceva aumentare i consensi. Gli altri lo irridevano e lo contestavano, gli davano del fascista e del razzista, molti media lo descrivevano e lo trattavano come una sorta di baluba, ma lui imperterrito continuava a segnare.

Poi è arrivata la pandemia. I tiri sono cominciati a diventare sbilenchi (vi ricordate il teatrino sul “riaprire tutto” non appena la Lombardia era entrata in zona rossa?); il canestro che prima sembrava grande quanto una botte si è rimpicciolito. E quando è iniziato il secondo tempo (il governo Draghi), la palla nelle mani di Salvini è diventata pesante come un mattone.

Tra il malumore di squadra e tifosi, sempre più indispettiti dalle sue continue incursioni a vuoto. Non è solo una questione di vaccini o di Green pass. È questione invece di un’improvvisa mancanza di sintonia con il Paese. Sui lasciapassare, ad esempio, è ovvio che si possano e che anzi si debbano discutere i profili costituzionali delle norme sull’obbligatorietà, ma se si fa politica bisogna partire dalla realtà: l’80 per cento degli italiani si è vaccinato, gli effetti avversi gravi sono stati rari e le ospedalizzazioni di chi è già immunizzato sono crollate verticalmente. Pure gli elettori della Lega si sono fatti inoculare in massa. Il Green pass lo hanno in tasca e quindi non si sono appassionati alla battaglia (persa) dal loro leader.

Stesso discorso vale per un altro tiro sbilenco di Salvini: va bene, per chi come lui dice di essere perseguitato ingiustamente dalla magistratura, sostenere i referendum sulla giustizia dei Radicali. Ma come spiegare al proprio elettorato i due quesiti sulla legge Severino e sulla custodia cautelare? Se passano, i condannati in via definiva torneranno in Parlamento e gli indagati per reati come spaccio di droga, stalking, furto in appartamento, anche se arrestati in flagranza, non finiranno più dietro le sbarre. E da liberi, in molti casi, continueranno a spacciare, rubare e molestare.

C’è poi il Reddito di cittadinanza. Dire di abolirlo per dare quel denaro alle imprese ha certamente successo tra il popolo degli imprenditori, dei benestanti e dei garantiti. Ne ha molto meno tra gli abitanti delle periferie, tra i poveri e i proletari. Tutta gente che votava Lega dopo essere stata delusa dalla sinistra. Anche la battaglia sui sussidi, insomma, se si guarda a un pezzo importante dell’elettorato salviniano è un tiro fuori bersaglio (gli ultimi dati Istat, oltretutto, certificano che pure in giugno i contratti stagionali sono aumentati rispetto al 2018-19, dimostrando come la storiella sulla mancanza di personale sia più che altro una truffa politico-mediatica).

Peggio ancora va, infine, con l’idea di tornare al nucleare, costruendo una centrale in Lombardia. Appena dieci anni fa, il 91 per cento dei lombardi votò al referendum contro l’atomo. Su un tema del genere nemmeno Bob Morse, l’infallibile americano che negli anni 70 viaggiava a quasi 30 punti di media a partita nella mitica Ignis Varese, riuscirebbe a metterla dentro. Figurati se ti chiami Matteo e non sei nato a Filadelfia, ma al Giambellino.

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