Impresentabile

Caso Durigon, si spacca la Lega: ecco la fronda “nordista” per le dimissioni. Mentre Draghi ancora tace

Il sottosegretario che ama Mussolini. Fascismo - La fronda di Giorgetti e Zaia all’attacco: “Perché Rixi e Siri dimessi e lui no?”. Tace il Matteo di Italia Viva

12 Agosto 2021

“DURIGON FUORI DAL GOVERNO!” – FIRMA LA NOSTRA PETIZIONE SU CHANGE.ORG

La pressione per le dimissioni del sottosegretario della Lega Claudio Durigon sale di ora in ora. Il fronte giallorosa – Pd, M5S e LeU – chiede il passo indietro immediato o che sia il premier Mario Draghi a ritirargli le deleghe, ma il centrodestra si chiude in un imbarazzato silenzio. E mentre la petizione lanciata ieri dal Fatto raggiunge le 25mila firme in meno di 24 ore, il premier Mario Draghi continua a tacere sulla vicenda: per il momento non intende intervenire sul sottosegretario – reo di aver proposto di reintitolare il parco di Latina ad Arnaldo Mussolini invece che a Falcone e Borsellino – per non provocare fratture all’interno del governo. Lo farà solo se la pressione politica diventerà tale da obbligarlo a una decisione. Così Pd, M5S e LeU hanno già annunciato che a settembre, quando riapriranno le Camere, voteranno una mozione di sfiducia per revocare le deleghe a Durigon. Dopo Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli, nel governo ieri si è fatta sentire la voce di un altro ministro del M5S, Federico D’Incà: “Le parole di Durigon sono gravissime e spiace che a distanza di giorni, non si sia reso conto dell’inopportunità di quelle dichiarazioni – dice al Fatto – Sarebbe auspicabile un passo indietro, senza arrivare alla mozione di sfiducia, oltre che le sue pubbliche scuse”. L’unico leader degli ex giallorosa che non si è ancora esposto è invece Matteo Renzi che negli ultimi tempi ha più volte condiviso le posizioni di Matteo Salvini: per ora il capo di Italia Viva tace.

Ma Durigon è accerchiato anche all’interno: di fronte al silenzio di Matteo Salvini che spera di far cadere la questione nel vuoto, nella Lega iniziano a emergere le prime voci critiche nei confronti del sottosegretario all’Economia. E il fronte “nordista” che fa riferimento a Luca Zaia e Giancarlo Giorgetti non vedrebbe di cattivo occhio la caduta di Durigon, fedelissimo di Salvini e diventato uno dei punti di riferimento nella Lega che si è estesa al centro-sud. E proprio nel giorno in cui viene ufficializzato l’annullamento delle feste leghiste di Pontida e di Alzano Lombardo (la Berghem Fest), non è passato inosservato il silenzio dei governatori di peso del Carroccio, da Massimiliano Fedriga allo stesso Zaia. Per non parlare di Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico, che con Durigon ha sempre avuto un pessimo rapporto. D’altronde a febbraio, quando era uscita la lista dei sottosegretari del governo Draghi, in molti tra i leghisti della prima ora erano rimasti stupiti da quella poltrona da sottosegretario al Tesoro andata a Durigon: “Come si fa a tutelare il mondo produttivo del Nord-Est con un sottosegretario del Lazio?” era la domanda ricorrente tra i leghisti sopra il Po che non hanno mai gradito l’ascesa di Durigon. Parlamentari di peso come Massimo Bitonci, Raffaele Volpi, Gianpaolo Vallardi, Stefano Candiani ed Edoardo Rixi erano rimasti tagliati fuori. E sono loro oggi quelli che, secondo i rumors interni, hanno storto la bocca di fronte all’uscita dell’ex sindacalista dell’Ugl di Latina. Ancor di più se si considera che durante il governo Conte 1 proprio gli allora sottosegretari Rixi e Armando Siri avevano dovuto lasciare la propria poltrona su pressione dell’esecutivo gialloverde: “Perché loro sì e invece Durigon è intoccabile?” chiede polemico un big leghista.

E dunque, mentre Salvini su Rete 4 nega la realtà (“Durigon non ha chiesto di cambiare nomi ai parchi, nella Lega non c’è nessun nostalgico”), emergono le prime voci critiche. Nessuno chiede apertamente le dimissioni di Durigon ma diversi parlamentari ed esponenti di peso stanno iniziando a prendere le distanze. Il primo è il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni che, sebbene molto vicino al segretario, ha spiegato: “Io un parco a Mussolini non lo intitolerei, a Borsellino e Falcone sì”. Il ligure Rixi, invece, che nel 2019 si dimise dopo una condanna in primo grado a 3 anni e 5 mesi per le “spese pazze” in Liguria e poi è stato assolto, spiega che Durigon non si dovrebbe dimettere perché “esiste la libertà di pensiero” e “siamo in campagna elettorale” ma poi attacca il suo compagno di partito: “Ciò detto io non condivido l’uscita di Durigon ed è anche incomprensibile – spiega al Fatto il deputato del Carroccio – io non farei mai una battaglia su questo e tra il ‘parco Mussolini’ e il ‘parco Falcone e Borsellino’ scelgo senza dubbio Falcone e Borsellino”.

Nell’inner circle di Salvini, invece, la posizione è chiara: “Polemica strumentale e ridicola”. Insomma, si difende il sottosegretario sperando che la polemica si sgonfi in pochi giorni. Ma anche tra i fedelissimi del segretario l’imbarazzo e l’irritazione ci sono: Durigon, dopo il primo scandalo di maggio (parlando dei 49 milioni della Lega disse: “Quello che indaga lo abbiamo messo noi”), adesso sta diventando ingombrante. Tant’è che a via Bellerio si fa già un nome per sostituirlo: quel Bitonci che al Mef era già stato da sottosegretario durante il Conte 1. Un modo per placare i brusii interni.

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Aggiornato da Redazione web alle 13.08 del 12/08/2021

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