Bilancio festival

Sanremo: parole e musiche da arresto, ma con lieto fine

Momenti clou - Fedez e l’aiutino da casa, i pipponi delle giornaliste da vietare per legge, la Berti che scambia i Maneskin per Naziskin

8 Marzo 2021

Mentre le sardine finivano con tenda e sacco a pelo sotto il ritratto di Berlinguer, noi altri, sabato sera, finivamo con tenda e sacco a pelo davanti alla tv in attesa fino a notte fonda della proclamazione di un vincitore che, tra le altre cose, rischiava di essere Fedez. Un livello di masochismo che non è possibile riscontrare neppure nei selfie di Bonaccini con l’occhiale a goccia. Hanno vinto i Maneskin, quelli ribattezzati “Naziskin” da Orietta Berti e la faccenda ha già l’aria di una premonizione su come andrà per la sinistra alle prossime elezioni. È stato un Sanremo musicalmente opaco, con molte buone canzoni, ma quasi nessuna da ricordare con gioia e con almeno un paio da ricordare come un monito, come quelle immagini dei bambini che piangono per la fame del terzo mondo. Della serie “queste cose non devono succedere mai più”. Penso a Bugo, che nonostante le buone intenzioni ha avuto la maleducazione di presentarsi con una canzone già scartata da Baglioni, il quale aveva avuto la delicatezza di restituirgliela senza chiedergli di farla brillare in qualche landa disabitata, come le bombe inesplose della seconda guerra mondiale.

Penso, anche, ad Aiello, uno che sembra Fabrizio Corona ma un po’ meno elegante e che aveva una canzone tipo quella di Bugo ma un po’ più brutta.

Ci sarebbe anche Fedez, che a Sanremo ha dichiarato di indossare il braccialetto elettronico vibrante per l’ansia, ma che con quella canzone meritava il braccialetto elettronico per i domiciliari. Fedez il quale, messo malissimo in classifica nelle prime serate, nella finale ha pensato bene di farsi supportare dalla moglie e dai suoi 22 milioni di follower, piazzandosi secondo. Peccato non abbia seguito il consiglio dell’amico Nicola Zingaretti, il quale gli aveva suggerito di guadagnare consenso con un tweet in cui raccontava di picchiare i gattini appena nati, quando è nervoso, ma niente. Fedez ha preferito fidarsi della moglie. E ha perso.

Sempre a proposito di cose brutte che con questa pandemia non ci meritavamo io credo che la Palombelli passerà alla storia come il momento più imbarazzante del Festival di Sanremo dopo quella volta in cui il signor Giancarlo, a La Ruota della fortuna, a proposito delle Amazzoni diede la soluzione: “Vinsero battaglie grazie alla loro figa” anziché “fuga”. Voi direte: “E che c’entra il signor Gianfranco con Sanremo?”. Niente, esattamente come la Palombelli, appunto. A proposito. C’è un vuoto legislativo molto serio riguardo la presenza massiccia dei monologhi a Sanremo. Andrebbe regolata da una normativa seria, che impedisca agli ospiti di fracassare le palle con questi soliloqui infiniti per celebrare qualsiasi cosa, dalle donne alla bellezza, dalle sconfitte (non sarà che la Palombelli ha scritto pure il monologo di Ibrahimovic?) ai colpi di sole fatti con il pettine. Poi c’è la Botteri in versione sciura truccatissima e io la preferivo genuina e spettinata, ma è meglio non più dire nulla sui suoi capelli perché poi c’è il pericolo che la facciano papa.

Bella, bellissima Orietta Berti, perfino sexy con due molluschi sulle tette, una canzone così così ma una voce perfetta e l’aria spaurita di chi non riconosce più Sanremo, di chi sente che le mancano i riferimenti, che so, il Panama di Albano, una giacca da ussaro di Ivana Spagna, un secondo posto di Toto Cutugno. Si guarda intorno, legge “Fulminacci” e “Colapesce” sul grande schermo del palco e lo vedi che non capisce come ci sia finita tra le nuove proposte, ma non dice niente, perché è una donna educata, d’altri tempi. Mica come certi ragazzi di oggi.

Peccato per Noemi che arriva radiosa e magrissima con un pezzo molto sanremese e sembra tutto perfetto se non che tutti continuano a parlare di quanto sia magra e alla fine si piazza a metà classifica, perché diciamocelo: taglia 40 e pure prima a Sanremo sarebbe diventata insopportabile.

C’è poi da aprire una breve parentesi su Fiorello. Fiorello che tra i giornalisti è più intoccabile di Mario Draghi, che anche se sale sul palco e dice “cacca pupù”, tutti “Che bravo Fiorello”, “che genio Fiorello”, “che fuoriclasse Fiorello”. C’è più coraggio nel sacco a pelo al Nazareno di Mattia Santori che nella recensione media del giornalista italiano su Fiorello.

Infine, la vittoria dei Maneskin. Quella che non si aspettava nessuno. Quella che incorona Damiano, anni 22, come il nuovo sex symbol per ragazzine e carampane. Ho letto dei commenti femminili sulle sue performance di una tale sboccataggine che neppure se si organizzasse la sfilata di Victoria’s secret al parcheggio camion dell’autogrill Brianza Sud. Una vittoria che rende tutti felici. A parte Orietta Berti, ovviamente, convinta che abbiano vinto i Naziskin e da due giorni dorme nella sede nazionale dell’Anpi.

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