E ora un condono edilizio per gli abusi “ante-1967”

Ideona - La proposta contenuta all’articolo 39 della bozza del nuovo Testo unico sull’edilizia in discussione da luglio al ministero di Paola De Micheli

Un condono edilizio – e forse qualcosa di più, un’amnistia – per tutto quello che è successo fino al 1° settembre 1967. Pensa che ti ripensa è questa la soluzione escogitata dal Tavolo tecnico presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici (cioè il ministero delle Infrastrutture di Paola De Micheli) per risolvere una questione effettivamente ingarbugliata. L’idea, invero mai sentita, di fare l’ennesimo condono è contenuta all’articolo 39 della bozza dell’atteso Testo unico sull’edilizia (dovrebbe chiamarsi “Codice delle costruzioni”) che i tecnici del ministero stanno discutendo da luglio e che Il Fatto ha potuto leggere.

Dice così: “Sono da considerarsi legittimamente realizzati, anche in presenza di diverse disposizioni nella regolamentazione comunale vigente all’epoca, gli interventi edilizi eseguiti e ultimati prima del 1° settembre 1967 (…), ivi compresi quelli ricadenti all’interno della perimetrazione dei centri abitati o delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano individuate dallo strumento urbanistico all’epoca vigente”. Basta avere la documentazione dell’avvenuta esecuzione dei lavori e tanti saluti: tutto “legittimo”. Come si vede, non è nemmeno una sanatoria ex post, si cancella proprio l’idea che ci fosse qualcosa che non andava. Maglie talmente larghe che potrebbero consentire nuova vita persino a diversi “ecomostri”: è appena il caso di ricordare che è negli anni Sessanta che inizia lo sfregio massivo del territorio.

La data da cui far partire il condono non è ovviamente scelta a caso: è quella dell’entrata in vigore della “legge Ponte”, che ha previsto che per costruire qualcosa in tutto il territorio comunale bisognava munirsi di apposita licenza edilizia. Fino ad allora aveva regnato, per così dire, la legge urbanistica del 1942 che però si occupava sostanzialmente solo dei centri abitati. A complicare il tutto, il fatto che alcuni Comuni avevano un proprio regolamento edilizio, a volte persino anteriore al 1942. Ne è derivata, nonostante i plurimi condoni già varati a partire dagli anni Ottanta, una immane produzione di contenzioso legale tra le amministrazioni pubbliche e i privati e anche tra i privati: per lungo tempo, sbagliando, in molti hanno considerato automaticamente sanato – grazie a una lettura errata di una legge del 1985 – tutto il patrimonio immobiliare precedente al 1967, ma non è così. Questo ha effetto, ovviamente, sulle compravendite immobiliari e, quanto al futuro, sulla possibilità di richiedere il superbonus al 110% sulle ristrutturazioni edilizie, di cui ovviamente edifici o appartamenti così vecchi hanno più che bisogno. Per capire quanto conti questo che può apparire un dettaglio: il superbonus dovrebbe essere gran parte – circa la metà – dei 70 miliardi destinati alla “transizione verde” nel Recovery Plan italiano.

È da questo contesto che nasce il colpo di spugna definitivo: va detto che, magari non condivisibile, ma si tratta di una soluzione definitiva. Curioso che la proposta che oggi il ministero delle Infrastrutture mette nero su bianco nella sua bozza, sia stata avversata dai governi di centrosinistra solo pochi anni fa: all’inizio del 2015, esecutivo Renzi, Palazzo Chigi trascinò alla Consulta la Toscana per una normativa anche meno estensiva (il condono valeva solo fuori dai centri abitati). A questo proposito, e visto che anche l’Emilia Romagna aveva provato il colpaccio recentemente (e non parliamo della Campania), non c’è da aspettarsi che le Regioni si oppongano deliberando norme più restrittive nel caso passi l’impostazione del ministero di Paola De Micheli.

Certo, la norma proposta si muove sul filo della giurisprudenza costituzionale: insistere coi condoni, scrisse la Corte nel 1995, “finirebbe col vanificare del tutto le norme repressive di quei comportamenti che il legislatore ha considerato illegali perché contrastanti con la tutela del territorio”; nel 2004 però, pur ribadendo queste critiche, la Consulta escluse “l’illegittimità costituzionale di ogni tipo di condono edilizio straordinario, mai affermata da questa Corte”. Va detto che il nuovo Testo unico interviene anche sui meccanismi di sanatoria già vigenti tentando, ma in maniera assai più sfumata, di allargarne le maglie: operazione che non piacerà a tutti, ma assai più accettabile se si pensa che molto contenzioso è riferibile a violazioni anche piccolissime ad esempio nelle volumetrie.

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Un condono edilizio – e forse qualcosa di più, un’amnistia – per tutto quello che è successo fino al 1° settembre 1967. Pensa che ti ripensa è questa la soluzione escogitata dal Tavolo tecnico presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici (cioè il ministero delle Infrastrutture di Paola De Micheli) per risolvere una questione effettivamente ingarbugliata. L’idea, invero mai sentita, di fare l’ennesimo condono è contenuta all’articolo 39 della bozza dell’atteso Testo unico sull’edilizia (dovrebbe chiamarsi “Codice delle costruzioni”) che i tecnici del ministero stanno discutendo da luglio e che Il Fatto ha potuto leggere.

Dice così: “Sono da considerarsi legittimamente realizzati, anche in presenza di diverse disposizioni nella regolamentazione comunale vigente all’epoca, gli interventi edilizi eseguiti e ultimati prima del 1° settembre 1967 (…), ivi compresi quelli ricadenti all’interno della perimetrazione dei centri abitati o delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano individuate dallo strumento urbanistico all’epoca vigente”. Basta avere la documentazione dell’avvenuta esecuzione dei lavori e tanti saluti: tutto “legittimo”. Come si vede, non è nemmeno una sanatoria ex post, si cancella proprio l’idea che ci fosse qualcosa che non andava. Maglie talmente larghe che potrebbero consentire nuova vita persino a diversi “ecomostri”: è appena il caso di ricordare che è negli anni Sessanta che inizia lo sfregio massivo del territorio.

La data da cui far partire il condono non è ovviamente scelta a caso: è quella dell’entrata in vigore della “legge Ponte”, che ha previsto che per costruire qualcosa in tutto il territorio comunale bisognava munirsi di apposita licenza edilizia. Fino ad allora aveva regnato, per così dire, la legge urbanistica del 1942 che però si occupava sostanzialmente solo dei centri abitati. A complicare il tutto, il fatto che alcuni Comuni avevano un proprio regolamento edilizio, a volte persino anteriore al 1942. Ne è derivata, nonostante i plurimi condoni già varati a partire dagli anni Ottanta, una immane produzione di contenzioso legale tra le amministrazioni pubbliche e i privati e anche tra i privati: per lungo tempo, sbagliando, in molti hanno considerato automaticamente sanato – grazie a una lettura errata di una legge del 1985 – tutto il patrimonio immobiliare precedente al 1967, ma non è così. Questo ha effetto, ovviamente, sulle compravendite immobiliari e, quanto al futuro, sulla possibilità di richiedere il superbonus al 110% sulle ristrutturazioni edilizie, di cui ovviamente edifici o appartamenti così vecchi hanno più che bisogno. Per capire quanto conti questo che può apparire un dettaglio: il superbonus dovrebbe essere gran parte – circa la metà – dei 70 miliardi destinati alla “transizione verde” nel Recovery Plan italiano.

È da questo contesto che nasce il colpo di spugna definitivo: va detto che, magari non condivisibile, ma si tratta di una soluzione definitiva. Curioso che la proposta che oggi il ministero delle Infrastrutture mette nero su bianco nella sua bozza, sia stata avversata dai governi di centrosinistra solo pochi anni fa: all’inizio del 2015, esecutivo Renzi, Palazzo Chigi trascinò alla Consulta la Toscana per una normativa anche meno estensiva (il condono valeva solo fuori dai centri abitati). A questo proposito, e visto che anche l’Emilia Romagna aveva provato il colpaccio recentemente (e non parliamo della Campania), non c’è da aspettarsi che le Regioni si oppongano deliberando norme più restrittive nel caso passi l’impostazione del ministero di Paola De Micheli.

Certo, la norma proposta si muove sul filo della giurisprudenza costituzionale: insistere coi condoni, scrisse la Corte nel 1995, “finirebbe col vanificare del tutto le norme repressive di quei comportamenti che il legislatore ha considerato illegali perché contrastanti con la tutela del territorio”; nel 2004 però, pur ribadendo queste critiche, la Consulta escluse “l’illegittimità costituzionale di ogni tipo di condono edilizio straordinario, mai affermata da questa Corte”. Va detto che il nuovo Testo unico interviene anche sui meccanismi di sanatoria già vigenti tentando, ma in maniera assai più sfumata, di allargarne le maglie: operazione che non piacerà a tutti, ma assai più accettabile se si pensa che molto contenzioso è riferibile a violazioni anche piccolissime ad esempio nelle volumetrie.