Genova la tragedia

“Pochi controlli alla Jolly nero”. Nelle carte l’ipotesi corruzione

La novità in un’informativa dell’inchiesta sulle verifiche alla nave che il 7 maggio 2013 abbatté la Torre piloti nel porto: 9 i morti

Di Marco Grasso
10 Dicembre 2020

Ad aprire un’ipotesi completamente nuova su una tragedia italiana costata 9 morti è la traccia trovata nel computer di un militare della capitaneria di porto: biglietti omaggio per le vacanze. Traghetti gratis per la Sardegna offerti al controllore dal potenziale controllato, la compagnia di navigazione. Una prassi che, è il sospetto di chi indaga, potrebbe non essere affatto limitata a un episodio isolato, ma una pratica più diffusa. Per questo gli inquirenti che indagano sugli strascichi dell’incidente della Jolly Nero, che sette anni fa abbatté la Torre Piloti di Genova, hanno ipotizzato per la prima volta l’esistenza del reato di corruzione.

Una delle domande che fino ad oggi non ha ancora avuto una risposta definitiva riguarda le condizioni in cui salpò la portacontainer: guasti diffusi a vari macchinari, alcuni dei quali ritenuti dai pm determinanti per spiegare la successiva avaria. Come è possibile che nessuno se ne accorse? E come poteva aver passato le ispezioni e le successive certificazioni una nave in quello stato? È seguendo questo filone che i magistrati hanno scoperto quelli che considerano decine di controlli addomesticati, avarie insabbiate, rimettendo in discussione verifiche su altre imbarcazioni che in alcuni casi hanno avuto incidenti mortali, come la Norman Atlantic. Un lungo elenco di episodi raccolti in un rapporto di un centinaio di pagine, contenuto nell’ultima parte di questa inchiesta ancora aperta della Procura di Genova. Di quel fascicolo, fino ad ora, erano note solo le ipotesi di falso, che avevano portato a misure cautelari nei confronti di due ufficiali della capitaneria addetti ai controlli, e altrettanti funzionari del Rina, il Registro navale italiano, colosso mondiale nel campo delle certificazioni. In tutto sono oltre una trentina gli indagati.

I fatti risalgono alla notte del 7 maggio 2013. Poco dopo le 23 la Jolly Nero, cargo della compagnia Messina, colpisce la banchina durante le manovre per uscire dal porto. La collisione provoca la morte di nove uomini: Francesco Cetrola, 38 anni, Marco de Candussio, 3, Davide Morella, 33, Giuseppe Tusa, 30, Daniele Fratantonio, 30, Giovanni Iacoviello, 35, (tutti militari della capitaneria); Sergio Basso, 50 anni, e Maurizio Potenza, 50 (operatori radio); Michele Robazza, 44 anni (pilota). L’inchiesta principale sulle responsabilità si concentra subito sul comandante della nave Roberto Paoloni (condannato a 9 anni e 11 mesi in appello), e sui suoi due più stretti collaboratori, il primo ufficiale Lorenzo Repetto (8 anni e 6 mesi) e il direttore di macchina Franco Giammoro (7 anni) e sulla responsabilità amministrativa della Messina. Ai marittimi vengono contestati molti errori di manovra e l’imprudenza di essere partiti con una nave che aveva molte irregolarità. Su tutte: il contagiri rotto, un motore che aveva già dato prova di incepparsi, la comunicazione interrotta fra plancia e sala macchine. Un allarme segnalò addirittura la defaillance del motore, ma fu spento senza effettuare alcuna verifica. Il processo è approdato in Cassazione pochi giorni fa e la Suprema Corte, pur riconoscendo le responsabilità ha restituito gli atti alla Corte d’Appello per abbassare le pene.

A spiegare questa decisione potrebbe essere la parallela apertura di un processo bis a carico dei tecnici che progettarono la torre a filo banchina, senza alcuna protezione. Funzionari e datori di lavoro sono stati condannati in primo grado e questo potrebbe suddividere la responsabilità generale dell’incidente, inizialmente imputata solo agli autori della manovra. Ma un ulteriore problema riguarda proprio uno degli imputati eccellenti di questo secondo filone: l’ammiraglio Felicio Angrisano (condannato a 3 anni), allora comandante della capitaneria di Genova, e poi ammiraglio generale del corpo. Non va dimenticato, infatti, che è proprio la capitaneria ad aver svolto le indagini, ed è probabile che questo elemento sarà sottolineato negli appelli dei legali che assistono l’equipaggio.

A complicare il quadro si aggiungono ora i nuovi elementi emersi. In tema di controlli falsi la Procura aveva già affiancato alla capitaneria lo stesso pool della Guardia di finanza che indaga sulla strage del Ponte Morandi. Anche in questo caso da un disastro le indagini sono passate in fretta a un sistema di controlli fallati. A novembre i militari hanno completato la copia forense di un computer sequestrato presso il Rina. Anche se approfondire il sistema dei “regali”, a sette anni di distanza, rischia di essere un’impresa tutt’altro che semplice.

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