Sisma 2016 - I dati del rapporto Fillea Cgil-Legambiente

Terremoto centro Italia, ricostruzione a rischio flop: chiesto solo il 17% dei fondi

Va tutto a rilento, al punto che perfino la rimozione delle macerie non è stata completata. E secondo il rapporto Fillea Cgil-Legambiente "si presume che ci sia un preoccupante grado di irregolarità nell’impiego della manodopera”

Di Carlo Di Foggia e Virginia Della Sala
25 Ottobre 2020

Lenta, a rischio flop e con il sospetto di una grossa mole di cantieri illegali: la ricostruzione post-sisma del 2016, che interessa Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria non è mai decollata e anzi si porta dietro enormi criticità che – se non si corre ai ripari – rischiano di aumentare per un eccesso di semplificazione senza controllo. È lo scenario drammatico che emerge dal terzo rapporto sulla ricostruzione redatto dall’Osservatorio Sisma della Fillea Cgil e di Legambiente che sarà presentato lunedì. Già oggi, si legge, è possibile prendere atto che “la ricostruzione sarà inferiore alle aspettative”. Un dato su tutti: per il finanziamento pubblico per danni più o meno gravi, dal 2016 al giugno 2020 sono arrivate solo 13.947 richieste, di cui poco più di 5mila sono state accettate e 8mila sono ancora in lavorazione. Sono pochissime: quelle potenziali, che dunque potevano essere avanzate, erano state stimate in 80.340 (circa 13mila in Abruzzo, 10mila nel Lazio, 45mila nelle Marche e 12mila in Umbria). Siamo fermi, in sostanza, al 17 per cento di sole domande di contributo alle Unità speciali per la ricostruzione delle Regioni: al 31 agosto 2020, il totale era di quasi 205 milioni di euro trasferiti per la ricostruzione pubblica, 606 milioni per la privata. Una frazione dei danni stimati.

Va tutto a rilento, al punto che perfino la rimozione delle macerie non è stata completata (siamo all’88%, 2,4 milioni di tonnellate), in ritardo è soprattutto lo Stato, con le macerie pubbliche. “Si presume – si legge nel dossier – che la completa rimozione andrà ben oltre il 2020”. “E il mancato trattamento e riutilizzo delle macerie riciclate – spiega il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – genererà una ricostruzione aprendo nuove cave invece di utilizzare i rifiuti da demolizione”. Non basta la lentezza della burocrazia a spiegare il disastro, secondo il rapporto l’eccesso di proroghe e la mancanza di termini certi per il finanziamento pubblico hanno pesato molto di più.

Il dossier definisce comunque “coraggiose” le modifiche normative introdotte per semplificare: la dotazione dei comuni di strumenti di urbanistica più ampi, la responsabilizzazione dei liberi professionisti, le autocertificazioni, i Programmi Straordinari di ricostruzione, i tempi certi per le domande e la concessione dei contributi. Ma, rileva, “quando la soglia del controllo pubblico si abbassa, si assiste ad una riduzione esponenziale della regolarità del lavoro e della qualità del costruito”. A fine 2019 erano poco meno di 5.500 i lavoratori edili impegnati nella ricostruzione (822 imprese registrate, una media di sei ad azienda). “Dai numeri – spiega Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil – emerge che la percentuale di operai specializzati è inferiore alla media nazionale nonostante la complessità delle opere e dei cantieri”. Spicca la massa salariale: 22 milioni, anche in questo caso al di sotto della media nazionale. “Se lo mettiamo in relazione all’importo complessivo dei contributi erogati per la ricostruzione – continua Genovesi – risulta eccessivamente bassa e questo induce a presumere che ci sia un preoccupante grado di irregolarità nell’impiego della manodopera”. E dove non c’è controllo, emerge pure la permeabilità alle mafie. Al 28 febbraio 2020 si registravano già 78 interdittive antimafia. Quasi il 10% delle imprese coinvolte. Per contrastare le irregolarità, la normativa sulla ricostruzione prevede l’applicazione obbligatoria di due importanti strumenti – spiega il rapporto –, il settimanale di cantiere (l’elenco delle attività che l’appaltatore fornisce alla Prefettura e alla direzione dei lavori, ndr) che però non viene utilizzato e il Documento Unico di Regolarità Contributiva (che attesta l’incidenza della manodopera impiegata per un intervento, rispetto all’importo delle opere, ndr). Al 20 settembre erano stati rilasciati 436 Durc, relativi a lavori per 45 milioni con incidenza di manodopera del 34%. Tradotto: anche se aumentano, sono ancora molto pochi rispetto a quanto già stanziato e servirebbero più controlli ex post. Considerando anche che su quasi 18mila visite nei cantieri da parte dei comitati paritetici regionali, la percentuale di quelli irregolari è superiore alla media nazionale. Perfino sulle domande per gli indennizzi Covid si registrano meno richieste del previsto da parte delle aziende, che peraltro non hanno anticipato la Cig ai lavoratori.

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