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Genova, la città mancata di Michelangelo

Genova, la città mancata di Michelangelo
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In Vita di Michelagnolo Buonarroti raccolta per Ascanio Condivi da la Ripa Transone, il biografo – che praticamente scrisse sotto dettatura dell’artista stesso – ci racconta che c’è stato un momento della lunga vita di Michelangelo (1475-1564) in cui aveva pensato di trasferirsi a Genova: “Fu quasi per partirsi di Roma, et andarsane in sul Genovese” leggiamo. Non sappiamo esattamente dove, ma sappiamo perché: sarebbe stata una fuga da Roma dove Papa Paolo III – ripreso in mano il progetto del suo predecessore, Clemente VII – lo voleva costringere ad affrescare Il Giudizio Universale contro la sua volontà.

Il sogno del Buonarroti era abitare in un luogo tranquillo tra le cave di marmo (“comodo à Carrara”) e il mare, da dove poter inviare le sue statue fino a Roma. Ma Paolo III utilizzò la sua autorità per bloccarlo a Roma, e da lì la sua carriera straordinaria non smise di sfavillare: non solo Il giudizio, ma anche la cupola di San Pietro, il Campidoglio e tanto altro. Per questo, l’intuizione che soggiace alla mostra Michelangelo divino artista a Palazzo Ducale a Genova (fino al 14 febbraio, a cura di Cristina Acidini attuale direttrice di Casa Buonarroti), come di risarcire questo incontro mancato tra la città e l’artista, è azzeccata e utile a raccontare un episodio della sua lunga parabola biografica (basti pensare che lavorò per ben sette papi).

Divisa in dieci sezioni (con anche l’utilizzo di apparati multimediali), l’esposizione – che pure deve confrontarsi con la difficoltà di reperire opere realmente importanti da esporre, dunque spostare – offre veri e propri capolavori come il giovanile stiacciato marmoreo Madonna della Scala (1491) in cui Michelangelo omaggia Donatello; il modello Dio fluviale in legno e argilla (1524, uno studio per una statua di corredo per le tombe dei duchi medicei); il sublime Cristo Redentore (o Cristo Giustiniani, 1514-16) prima probabile versione del Cristo della Minerva; fino al busto di marmo Bruto (1539) e al tardissimo Crocifisso ligneo (1563) dello scultore ormai quasi novantenne.

Ma a colpire al cuore sono soprattutto i disegni, gli studi preparatori, come il vivissimo Cleopatra (1535) in cui la regina egizia si volge indietro, di tre quarti, mostrando una bellezza melanconica che solo Liz Taylor saprà poi restituirle. È qui che Michelangelo confessa la sua ricerca ossessiva per raggiungere l’umanità nelle sue opere, in conflitto tra anima e corpo, eternità e morte, come pure scrive in un suo madrigale (Michelangelo fu fine poeta) dedicato all’amica e poetessa Vittoria Colonna, quando spiega di voler “levar in pietra alpesta e dura/ una viva figura”.

Michelangelo divino artista

Genova, Palazzo Ducale, fino al 14.02

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