Roma

“Un Giuda nei carabinieri, in atto depistaggi su Cucchi”

Processo agli ufficiali. Il pm: “Qualcuno passa documenti agli imputati, inquinamenti in corso”. Verso una nuova indagine

26 Settembre 2020

“Ancora oggi, nel 2020, nel Nucleo investigativo dei carabinieri c’è qualcuno che passa gli atti a qualche imputato. Siamo stanchi di questi inquinamenti probatori che vanno avanti da 11 anni e vogliamo identificare gli autori”. Aula bunker di Rebibbia. Processo a carico di otto militari dell’Arma, tra ufficiali e carabinieri, per il presunto depistaggio delle indagini sulla morte, nel 2009, di Stefano Cucchi. Imputati ci sono nomi pesanti, come il generale Alessandro Casarsa, nel 2009 comandante del Gruppo Roma e poi capo dei corazzieri del Quirinale (carica ora lasciata), accusato, con altri, di falso in atto pubblico.

In aula, ieri, il pm Giovanni Musarò lo dice senza giri di parole: è ancora in atto “un inquinamento probatorio”. Ed è un’affermazione che apre due scenari. Il primo: in Procura si sta ragionando se aprire un ulteriore fascicolo perché i pm vogliono fare accertamenti per identificare chi, a loro detta, ha passato documentazione a uno degli imputati. Bisognerà quindi capire da dove arrivino quegli atti. E qui il secondo punto: la vicenda sembra la spia di tensioni che tuttora vive all’interno dell’Arma dove non tutti hanno condiviso la scelta del comandante Giovanni Nistri di costituirsi parte civile nel processo Cucchi, mentre si attende, entro l’anno, la nomina del suo successore. Il sospetto – che per ora tale resta – degli investigatori è che quella documentazione potrebbero essere uscita dal Nucleo investigativo di Roma, lo stesso che ha condotto le indagini sul depistaggio. Poi è stata prodotta in aula mentre veniva sentito come testimone Lorenzo D’Aloia, l’uomo che quel reparto lo comanda.

Per capire bene la questione però bisogna tornare al 23 luglio. Per diverse ore a D’Aloia vengono poste parecchie domande da parte dell’accusa e delle difese. Tocca anche a quella del capitano Tiziano Testarmata, accusato con altri di non aver denunciato nel 2015 alcuni falsi nelle annotazioni sullo stato di salute di Cucchi.

Durante l’udienza, quindi, il legale di Testarmata, mentre pone domande sulla modalità di acquisizione degli atti di D’Aloia, produce – nel pieno esercizio del diritto di difesa – alcuni documenti. Si tratta di “due diverse richieste di atti” sottoscritte da D’Aloia negli anni scorsi e che riguardano procedimenti diversi.

Atti pubblici, ribadisce la difesa, con il giudice che ne autorizza l’acquisizione. Ma il caso non si chiude in aula. Qualche giorno dopo, il 10 agosto, Musarò chiede al Comando Provinciale e al Nucleo Investigativo di inviare “l’intero carteggio” di quegli atti e di precisare due cose: “se i militari in servizio presso il Nucleo investigativo possano trattenere privatamente copia degli atti che abbiano materialmente redatto” e, in caso di risposta negativa, “se vi sia stata richiesta di accesso agli atti e richiesta copie da parte di Testarmata”. Il 12 agosto arriva la risposta: dal Nucleo investigativo si precisa che no, “non è consentito ai militari trattenere copia” degli atti redatti e che non risultano “presso questo ufficio, richieste di accesso agli atti” di Testarmata.

Passano due mesi e la vicenda è stata riproposta ieri in udienza. “Il pm Musarò denuncia (…): ‘C’è un giuda, un cavallo di troia (…) che fornisce atti e documenti per una verità parziale e fuorviante’. Come dire: non abbiamo finito e non finiremo mai di subire interferenze illecite”, ha detto l’avvocato di Ilaria Cucchi, Fabio Anselmo, mentre la sorella di Stefano ha commentato: “Abbiamo un Cucchi Quater. Il lupo perde il pelo ma non il vizio”.

Ora il pm Musarò – che ha rappresentato anche l’accusa dell’altro processo, quello per l’omicidio preterintenzionale (due militari sono stati condannati in primo grado a 12 anni di carcere) – vuole vederci chiaro anche su questo nuovo aspetto. Potrebbe aprirsi un nuovo scenario investigativo.

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