Carrozze per signora. Le dame del Grand Tour

Da Mme De Staël a Mary Shelley: le viaggiatrici innamorate dell’Italia

29 Agosto 2020

La chiamavano la comare di Bath, come la protagonista del racconto dei Canterbury Tales: la signora, volendo dar retta alle malelingue che affollavano i salotti della buona società, non aveva a prima vista nulla di straordinario. Anzi. Era “grassottella” e “volgarotta”, nonostante gli abiti eleganti che Anna Riggs coniugata Miller si poteva permettere perché, dopotutto, era pur sempre un’ereditiera. Ricca e ambiziosa, vivace e ardimentosa è stata la prima donna ad aver scritto una guida dell’Italia (in tre volumi, documentatissimi). È il 1770 e il libro di viaggio scritto in forma epistolare intende descrivere “gli usi, i costumi, le antichità, le pitture” del nostro Paese senza incappare negli errori che l’esuberante ereditiera imputa ai colleghi, tutti maschi, rimproverando loro di copiarsi a vicenda rinnovando così gli stessi errori. L’itinerario che la signora segue è, per quel periodo, classico: attraversa il passo del Moncenisio seduta su una seggetta di vimini (“come una strega a cavallo di un manico di scopa”) giunge fino a Napoli, passando per Torino, Genova, Bologna, Firenze, Siena, Roma. Fermiamoci un momento al Nord: a Genova – città affollata di galeotti, sbirri e loschi figuri – Anna ci arriva per una valle assai accidentata, “il letto del fiume Polcevera”.

A questo punto siamo rimasti a bocca aperta: Anna Miller, già nel 1770, osserva che ci sono parecchi ponti in val Polcevera “i cui monconi ammiccano all’aria”. Non è l’unica storia di questo delizioso, intelligentissimo, libro – Le viaggiatrici del Grand Tour. Storie, amori, avventure di Attilio Brilli e Simonetta Neri (Il Mulino) – che ci ha folgorati. Protagonista è l’Italia (il cui nome, secondo Mary Shelley “contiene una magia in ogni sillaba”), vista dagli occhi di sedici donne, grandi dame o borghesi, da Anne-Marie du Boccage a Madame de Staël. La storia italiana di Elisabeth Webster, pure lei ereditiera ma americana data in moglie giovanissima a un gottoso e dissoluto baronetto inglese che le poteva esser padre, è degna di un romanzo nero, come annotano gli autori. E, aggiungiamo noi, particolarmente attuale perché il tutto accade mentre in molte regioni italiane imperversa un’epidemia. Approdata in una locanda di posta nel villaggio di Pavullo, con i tre pargoli e la governante al seguito, la donna simula la morte per morbillo della figlia di due anni, arrivando perfino a inviare una bara al console inglese di Livorno perché la faccia seppellire nel cimitero della comunità britannica. Poi, dopo aver rispedito con la governante la piccola in una località segreta dell’Inghilterra, comunica la tragedia ai figli e, per lettera, al marito. Cos’era capitato alla giovane lady, per spingerla a un gesto tanto orribile? L’amore, naturalmente! In assenza del consorte, tornato alla madre patria dopo il Grand Tour per necessità elettorali, Elisabeth si era concessa all’aitante lord Holland (che alla fine sposerà) e si era scoperta incinta. In previsione della causa di divorzio, non voleva perdere la custodia della figlia più piccola e più bisognosa dell’affetto materno. Muore davvero, ma a Venezia, la figlia di Mary e Percy Bysshe Shelley, Clara Everina, “sfinita dalla dissenteria per la sconsiderata vita raminga che gli Shelley solevano condurre al tempo del loro soggiorno in Italia”. Un colpo inaspettato che aveva ridotto la mamma di Frankestein alla disperazione. La scrittrice e il poeta, esuli volontari dopo la fuga d’amore, visitarono quelle che Byron definiva le città capitali, Roma e Napoli. “Salgono a dorso di mulo sul Vesuvio per ammirare il ‘mare di liquido fuoco’ e vanno a Baia”. A capo Miseno, Sorrento, Salerno, a vedere le rovine di Paestum, Ercolano, Pompei. A proposito di rovine: a spasso per Roma Elisa von der Recke si chiede perché mai marmi e colonne esercitino sull’animo umano un’influenza talmente pervasiva che si “può camminare per ore fra archi e capitelli in preda a un misterioso incantamento”. Chi è costei? Una coraggiosa pioniera del #metoo, potremmo dire oggi, scrittrice e instancabile ambasciatrice delle idee illuministe, dal tumultuosissimo passato. Era nata in Curlandia, l’attuale Lettonia, e ancora fanciulla era stata sedotta da Cagliostro, approdato nel ducato polacco diventato poi provincia baltica della Russia.

Dopo essersi liberata dal giogo psicologico del sedicente mago, Elisa aveva scritto un pamphlet, pubblicato nel 1787 a Berlino, in cui aveva svelato le astuzie con cui l’uomo l’aveva concupita approfittando della sua impressionabile gioventù, per mettere in guardia il mondo intero dal truffatore e dalle sue superstizioni esoteriche. Il libro-denuncia, tradotto in varie lingue aveva avuto un’incredibile fortuna perché, oltre allo scandalo del conte italiano, le menti più aperte dell’età dei Lumi vi avevano letto una messa alla berlina della “follia del soprannaturale”. Non solo: la zarina Caterina II, aveva disposto per Elisa una rendita perché fosse economicamente indipendente.

Ti potrebbero interessare

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.