Lavoro

Durante il lockdown saliti i licenziamenti dei precari

Solidarietà - Nei primi tre mesi del 2020, il divieto di cacciare i lavoratori ha “salvato” quelli stabili, tutti gli altri invece no

19 Giugno 2020

Più sei precario, più è facile che il tuo datore di lavoro ti licenzi infischiandosene del divieto imposto dai decreti. Nel pieno di un dibattito che vede il Partito democratico e Italia Viva spingere per allungare la deroga al decreto Dignità, quindi lasciare libere le imprese di avviare rapporti a termine senza causale, ieri l’Inps ha mostrato un dato poco incoraggiante: nel primo trimestre 2020, i licenziamenti per motivi economici sono diminuiti solo per i dipendenti a tempo indeterminato; sono invece cresciuti per quelli a tempo determinato e soprattutto per gli stagionali. Particolare da tenere a mente: dal 23 febbraio è in vigore il blocco dei licenziamenti per l’emergenza covid.

Numeri che arrivano, come detto, mentre la maggioranza discute dei contratti a termine. In principio fu il decreto Poletti (governo Renzi), che li liberalizzò del tutto facendone esplodere il numero. L’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio nel luglio 2018 (ri)mise qualche paletto: regole che il decreto Rilancio ha però sospeso fino al 30 agosto. Ora un emendamento del Pd vuole estendere ancora il termine e dare alle imprese la possibilità di assumere personale a termine senza causale fino a fine anno. È circolata l’ipotesi di un accordo sul 31 ottobre, ma la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha frenato: “C’è la norma del decreto Rilancio e non si va oltre”.

L’argomento di chi vuole la liberalizzazione è il solito: “In questa fase – ha detto il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri – se non si eliminano temporaneamente i disincentivi dei contratti a termine si rischia un impatto negativo sull’occupazione”. Meglio più precari che più disoccupati, insomma, posizione che naturalmente trova sponde a destra e che il ministro declina come incentivi alle assunzioni (anche a termine) dietro l’impegno delle aziende a non licenziare. Il M5S e parte di LeU, invece, vogliono tornare quanto prima alle norme del 2018 che, alla prova dei fatti, hanno arrestato la corsa del precariato e accelerato le stabilizzazioni.

Ora Istat e Inps certificano che durante il lockdown le aziende si sono disfatte soprattutto di precari, non rinnovandoli alla scadenza. Questo, per quanto paradossale, sta rafforzando il fronte trasversale (da Confindustria alla politica) che ha sempre attaccato il decreto Dignità e ora vuole estendere la deroga per poi mandare definitivamente in soffitta l’obbligo di “causale” (la ratio è che la forma normale di contratto è quella a tempo indeterminato e quindi il ricorso ad altre formule deve avere una sua ragione esplicita). In questi mesi – a dimostrare la fallacia di chi vuole maggiore flessibilità per aumentare l’occupazione – i precari sembrano essere stati anche più esposti ai licenziamenti. E dire che tra gennaio e marzo gli allontanamenti per motivi economici sono stati possibili solo fino al 23 febbraio: quelli avvenuti dopo quel giorno vanno considerati nulli. Ciò non toglie, e lo dimostrano i casi di cronaca, che molte aziende hanno scelto di non rispettare la norma e, nel farlo, hanno colpito i più deboli, cioè chi avrebbe comunque perso il lavoro a fine contratto.

I licenziamenti di lavoratori a tempo indeterminato erano stati 120 mila nel primo trimestre 2019, mentre nello stesso periodo del 2020 si sono fermati a 97.565 (il numero più basso degli ultimi anni). I licenziamenti di lavoratori a termine, invece, sono passati dai 29.695 del 2019 a 30.010 del 2020: in crescita nonostante il blocco intercorso negli ultimi 40 giorni del trimestre. Ancora più evidente è l’effetto sugli stagionali: nel primo trimestre 2019 si contavano 2.732 licenziamenti economici, quest’anno sono stati 5.553.

Diverse imprese del turismo – dovendo chiudere in anticipo la stagione invernale – devono aver messo alla porta in anticipo gli addetti. Una mossa illegittima, ma è pur vero che difficilmente un lavoratore che viene chiamato tutti gli anni dalla stessa azienda fa causa, rischiando di restare a casa l’anno dopo.

Tra gli stagionali è curioso pure il dato dei licenziamenti disciplinari, passati da 279 nel primo trimestre 2019 a 804 nel 2020: quest’anno, oltre al Covid-19, tra i lavoratori stagionali dev’essersi diffuso anche il virus dell’indisciplina. A meno che qualcuno non se ne sia approfittato.

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