La crisi

Ex Ilva, il nuovo piano di Arcelor: tra prospettive di mercato, soldi pubblici e 5mila esuberi

Il testo presentato al governo - Le prospettive del mercato, i soldi pubblici e i 5mila esuberi

8 Giugno 2020

Un piano ritenuto “inaccettabile” dai sindacati, presentato il 5 giugno da Arcelor Mittal al governo e che, seppur non ancora ufficializzato, ieri ha iniziato a circolare con tutti i dettagli (la prima a pubblicarne il contenuto è stata la Gazzetta del Mezzogiorno). Le 38 pagine di analisi e previsioni sull’acciaierie Ex Ilva, che il Fatto ha potuto visionare, confermano quanto trapelato nei giorni scorsi e ieri le segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm, insieme alle Strutture Territoriali e alle Rsu del gruppo Arcelor, hanno dichiarato 24 ore di sciopero dalle 7 di domani, in tutti gli stabilimenti del gruppo e in parallelo all’incontro con il ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli.

Il dossier è indicato come strettamente confidenziale, ha allegato uno studio sul futuro mercato dell’acciaio in Europa firmato McKinsey e di fatto spende tutta la premessa nello spiegare come l’emergenza scatenata dal Covid-19 abbia modificato le previsioni industriali di marzo, quando Arcelor Mittal – che già parlava di un cambiamento del mercato – e il governo si erano accordati (senza i sindacati) per riscrivere il contratto di locazione del 2017 e chiudere così il contenzioso al tribunale di Milano. Arcelor prevede che il 2020 si chiuderà con un calo nella domanda di acciaio del 25-30%, conseguenza della flessione negativa nei mercati automobilistico e delle costruzioni. Le spedizioni di acciaio passeranno da 5 milioni di tonnellate del 2019 a 3,5 milioni quest’anno. La prospettiva che risalgano a 8 milioni è collocata solo nel 2025 e solo se si tornerà ai livelli pre-emergenza Covid-19. Viene prospettato poi un aumento della sovracapacità produttiva che, secondo Arcelor, lascerà come unici sopravvissuti, sul lungo termine solo gli impianti più competitivi (70%).

Di conseguenza, il grafico dei dipendenti mostra il passaggio, per il 2020, dalle attuali 10.700 unità a 7.400 per poi assestarsi su 7.550 fino al 2025. Il calcolo è tarato sull’obiettivo delle 6 milioni di tonnellate per poi prevedere un ritorno alle 10.700 unità nel 2026, a braccetto con gli 8 milioni di tonnellate di produzione (implicitamente, con la copertura per mezzo degli ammortizzatori sociali nel mentre). Il rifacimento dell’altoforno 5 sarebbe previsto solo dopo il 2025, si proseguirebbe con l’utilizzo degli Altiforni 1,2 e 4. Nel 2023 si dovrebbe però chiudere il ciclo di vita di Afo2: il rischio è che gli altri due potrebbero non bastare. Al conto, vanno poi aggiunti anche i 1.800 lavoratori già in cassa integrazione e che attualmente sono stati assorbiti da Ilva in amministrazione straordinaria. In sostanza, gli esuberi arrivano a 5mila unità, il danno maggiore riguarderebbe lo stabilimento di Taranto.

Le richieste per finanziare il piano sono invece schematizzate sin da subito e sono presentate come imprescindibili: un prestito di 600 milioni di euro con garanzia statale, un mutuo ipotecario di 600 milioni di euro nel 2022 (a rifinanziare il prestito di garanzia statale), una indennità di 200 milioni di euro per i danni da Covid-19, 200 milioni (nel 2021 e 2022) dai certificati verdi e 55 milioni dal programma di Invitalia per coprire le aree secondarie e per le migliorie ai sistemi di aspirazione e di trattamento delle acque.

I sindacati, intanto, ritengono “inaccettabile il piano industriale presentato da Arcelor Mittal al governo” e rivendicano “la piena occupazione, gli investimenti e il risanamento ambientale oggetto dell’accordo sindacale del 6 settembre 2018”, quello sì raggiunto con i sindacati che aveva previsto l’assunzione immediata di 10.700 persone e l’assorbimento di tutto il resto entro il 2025. E proclamano lo sciopero: “È ancor più grave che le decisioni dell’azienda si basino su un accordo tra la stessa Arcelor Mittal e il governo siglato nello scorso mese di marzo, ma a tutt’oggi a noi sconosciuto”.

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