L’analisi - Boccata d’ossigeno

Il Mes in un angolo: ci sono gli eurobond, ma si tratta ancora

28 Maggio 2020

Fermo restando che la soluzione ideale per affrontare una crisi come quella provocata dal Coronavirus, e in generale per garantire un effettivo intervento pubblico, è quella che passa per la Banca centrale e per la monetizzazione del debito, la proposta della Commissione sul Recovery fund per l’Italia è una boccata di ossigeno.

Il primo effetto, infatti, è quello di rendere ormai stucchevole il dibattito sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che secondo la stragrande maggioranza dei commentatori politici dovrebbe essere richiesto senza esitare, quasi fosse formato da soldi regalati. E invece con uno stanziamento di 82 miliardi a fondo perduto e 91 miliardi di prestiti sia pure condizionati, non si capisce perché l’Italia dovrebbe mettersi dietro a una fila, che peraltro non esiste, per portare a casa i 36 miliardi previsti dal Mes. Questo può finire in soffitta per un certo periodo di tempo.

La seconda novità è che l’Unione europea ha rotto il tabù degli eurobond. Il Recovery fund andrà a finanziarsi sui mercati per 750 miliardi di euro, una cifra pari al 75% dell’intero bilancio europeo. Solo qualche mese fa era una eventualità assurda per i più e invece il tema è stato sdoganato.

I fondi andranno utilizzati per programmi sanitari, investimenti digitali ed economia “verde”, ma questi dettagli saranno svelati in seguito e, quando si tratta di Ue, è bene sempre leggere i dettagli perché nascondono le trappole più infide. Così come andrà studiata meglio la procedura di rientro di questi debiti contratti comunemente dalla Ue. Garantiti dal bilancio comunitario, è chiaro che la loro restituzione dovrà pesare sui contributi diretti dei singoli Stati, come spieghiamo nell’articolo a fianco, ma si tratta di un rimborso che può spalmarsi su decenni e addirittura si parla anche di prevedere una tassazione europea ad hoc. Si vedrà. A oggi si tratta solo di una proposta della Commissione che dovrà poi essere portata al tavolo del Consiglio europeo, cioè il vertice dei capi di Stato e di governo, vero organo decisionale dell’Europa ancora inter-nazionale. E il 18 giugno, data del vertice, non sarà nemmeno quella definitiva. I fondi, nella migliore delle ipotesi, quindi, saranno utilizzabili a partire dal gennaio 2021 a meno di individuare delle misure ponte. Insomma, per Conte e ministri vari c’è ancora molto da fare e da trattare. E c’è da contrastare l’opposizione pervicace dei Paesi del Nord, a cominciare da Olanda e Austria che non staranno certamente con le mani in mano.

Il punto è che se si è arrivati fin qui è perché il duo franco-tedesco ha deciso che con i Paesi del Sud non si può andare avanti a colpi di machete. Non si tratta di un ravvedimento operoso né di generosità a buon mercato: l’Unione europea sta affrontando una sfida geopolitica molto complessa e una difficoltà importante della sua principale economia, quella tedesca. Il mercato italiano, o spagnolo, costituiscono dei beni essenziali da salvaguardare così come non si può far finta di niente rispetto alla possibile deflagrazione del debito pubblico del nostro Paese. Se finora si sono fatti dei passi in avanti rispetto alla situazione iniziale – ricordiamo ancora la dichiarazione di Christine Lagarde, sotto dettatura tedesca, che la Bce “non è qui per chiudere gli spread” – è bene tenere conto di questi dati fondamentali. Non è questione del “genio” di Paolo Gentiloni, come dice Carlo Calenda, o di chissà quale asse di ferro con Ursula von der Leyen, ma si tratta di un orientamento di fondo, conservativo e cautelativo, che si è data la Ue.

Il sostanziale silenzio di Matteo Salvini dice che un certo tipo di propaganda, almeno fino a oggi, è stata spuntata, e anche nelle dichiarazioni di un “sovranista” di sinistra come Stefano Fassina, che parla di “passo utile” anche se non rinuncia a ribadire la centralità della Bce, si coglie il senso di quanto avvenuto ieri.

Dopodiché, ricordiamolo, la trattativa è solo agli inizi. Il rischio che la proposta della Commissione sia solo uno dei versanti di una mediazione a venire è ancora molto alto. Quindi, più che cantar vittoria, occorre continuare a lavorare.

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