Paul Romer

“Ecco come ripartire:bisogna testare tutti ogni due settimane”

Il premio Nobel 2018 fa una proposta per conciliare salute ed economia: “Ora gli Stati devono investire in macchinari e personale: chi è sano torna alla vita quotidiana, gli altri si isolano”

1 Aprile 2020

Prima o poi l’economia dovrà ripartire: più lunga è la chiusura, più dura sarà la recessione. C’è il problema, d’altra parte, che aprire troppo presto rischia di far ripartire i contagi. Che fare? Una proposta interessante arriva da Paul Romer, premio Nobel per l’economia nel 2018. Ex capo economista della Banca Mondiale, insegna all’università di New York e ha ottenuto il prestigioso riconoscimento per aver integrato l’analisi tecnologica in quella economica. E proprio una soluzione tecnologica è quella che propone.

Si può salvare l’economia proteggendo al tempo stesso la salute?

La tragica realtà è che al momento non possiamo fare entrambe le cose ma, se facciamo alcuni investimenti, in poche settimane potremmo riuscirci. Ed è molto importante per ogni nazione farli, perché è orribile dover scegliere fra mettere l’economia in un angolo o esporre molte persone al rischio di morire.

È meglio dare soldi direttamente a imprese e lavoratori o fare investimenti e stimolare la produzione?

La cosa più importante adesso è investire nella nostra capacità di testare le persone su larga scala. Questo richiede investimenti in attrezzature per i test e nel personale. Dopo potremo applicare una politica di isolamento intelligente, che significa che si testano tutti ripetutamente, una volta ogni due settimane. Se sei negativo, torni al lavoro e alla vita quotidiana. Se sei positivo, vai in quarantena. La chiave per contenere un’epidemia è isolare le persone contagiose. Ora isoliamo tutti perché non sappiamo chi è infetto.

Cosa possono e devono fare le Banche centrali in una crisi del genere?

Possono provare a fornire liquidità in modo da evitare una serie di fallimenti e debiti a cascata, ma non guidare gli investimenti necessari.

E i governi?

La loro sfida è molto ben definita: produrre macchinari per i test, creare siti appositi e addestrare personale. C’è un tipo di macchina per i test che sembra una grande fotocopiatrice. Se avessimo 5mila di queste macchine negli Stati Uniti, potremmo testare 20 milioni di persone al giorno. Non è per niente difficile pensare di produrle.

L’Eurozona, che ha una moneta unica ma senza un governo, può sopravvivere a questa crisi?

Il compito dei governi europei ora è mobilitare la loro capacità industriale per mettere in campo un sistema di test. Ogni governo deve farlo per conto suo. Tuttavia, la cosa per cui tutti i governi devono organizzarsi è che ce ne saranno alcuni che non riusciranno a contenere questa pandemia: ci saranno centri di contagio in diversi Paesi, che continueranno a infettare anche quelli che adottano buone politiche. Perciò abbiamo bisogno di una strategia di contenimento per almeno due anni. In due anni potremmo avere un vaccino, che è un modo meno costoso per proteggere l’economia.

La maggiore differenza fra i Paesi dell’Eurozona e gli Stati Uniti è che i secondi hanno una possibilità illimitata di spendere, molti tra i primi no.

Non prendo per buona questa analisi. C’è una differenza fra “non potere” e “non fare”. Ogni Paese in Europa può mobilitare i suoi cittadini e le sue risorse per creare un’infrastruttura per i test, ottenere le macchine e il personale di cui c’è bisogno, iniziare a testare tutti e mandare in isolamento chi è contagioso. Ogni Paese in Europa è abbastanza ricco e sviluppato per farlo. I Paesi europei, però, potrebbero non farlo per ostacoli politici o impedimenti istituzionali. Ma se non lo fanno è perché hanno deciso di non farlo piuttosto perché era impossibile farlo.

Cosa conviene fare all’Italia se l’Ue reagisce come nella crisi del 2011, senza interventi straordinari?

Per prima cosa deve mettere in campo un’infrastruttura per i test, in modo da proteggersi contro un aumento delle morti e allo stesso tempo lasciar tornare al lavoro le persone: se riesci a far tornare l’economia a produrre, nient’altro conterà. E poi bisogna essere pronti a trovare con i test chi è diventato contagioso, perché l’infezione entrerà anche dal resto del mondo. Nelle guerre del passato i Paesi hanno mobilitato la produzione per produrre nuove attrezzature. Devono farlo di nuovo.

Come si può far accettare alle persone di tornare al lavoro anche se l’epidemia non si è fermata?

I funzionari pubblici devono dire la verità, perché quando mentono perdono la loro legittimità e le persone smettono di fidarsi. Se i tuoi colleghi sono risultati negativi al test negli ultimi giorni e le persone sanno che è vero, saranno felici di tornare al lavoro.

La chiusura completa dell’economia è praticabile?

Solo per poco tempo. Dobbiamo avere un piano credibile per cui saremo in grado a breve di revocare la chiusura e garantire la sicurezza dei lavoratori, anche se il virus è ancora presente. Dire “non faremo niente e lasceremo tutti tornare al lavoro” non è credibile, perché i contagi torneranno a crescere rapidamente. Bisogna fare test frequenti a tutti e seguire la regola che se sei positivo, vai in isolamento; se sei negativo, torni alla tua vita quotidiana.

Il problema, dunque, è di volontà politica?

Sì, ed è anche un problema di produzione. Ma non è difficile produrre qualche migliaio di macchinari per i test.

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