Le app

Coronavirus, Roma non è (ancora) Seoul. La tracciabilità è in stand by

Il governo valuta soluzioni per seguire i contagi che siano adatte anche al sistema giuridico italiano. Resta il nodo dei pochi tamponi

24 Marzo 2020

In conferenza stampa, ieri, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro ha parlato all’Italia intera della necessità di trovare soluzioni tecnologiche per il monitoraggio dei contagi. Un appello a collaborare, a creare e a immaginare, ma pure l’ammissione della difficoltà di trovare un prodotto che coniughi libertà e democrazia (e privacy) “con il bisogno di garantire al massimo il distanziamento sociale”. La dichiarazione arriva mentre ci si chiede se non sia troppo tardi per il ricorso al modello coreano di tracciamento spinto dei cittadini e se sia in questa fase efficace, utile e necessario. Una domanda lecita, a cui non c’è risposta. In realtà, infatti, non c’è neanche ancora una idea ben precisa. Al di là degli annunci sui giornali, quello che oggi si sa per certo è che a lavorare all’ipotesi di questo sistema di tracciabilità sono in tre: il ministero dell’Innovazione, l’Istituto superiore di Sanità e ministero della Salute. Da settimane si valuta il da farsi. L’approccio dei ministeri è stato di avviare una ricognizione dello stato dell’arte tecnologico nazionale, incluse eventuali app, per capire se abbiano funzionalità e caratteristiche adatte. É un approccio iniziale, in contrasto con la posizione che sui quotidiani è stata data all’esperto dell’Oms, Walter Ricciardi, con “pronti a seguire l’esempio di Seoul” e “una volta risolti i problemi relativi alla privacy”. “Ci stiamo lavorando – spiega al Fatto – sono stati individuati il principio e gli obiettivi, il metodo lo stiamo studiando”.

Di certo c’è che la ministra dell’Innovazione, Paola Pisano, domenica, ha lanciato una call per le imprese, i centri di ricerca e le startup chiedendo di inviare proposte di soluzioni tecnologiche “in grado di contribuire al contenimento del contagio”. Si cercano di fatto due cose: sia “soluzioni tecniche di teleassistenza” – dalle app ai chatbot per l’automonitoraggio delle condizioni di salute – sia “tecnologie e soluzioni per il tracciamento continuo, l’alerting e il controllo tempestivo del livello di esposizione al rischio e conseguentemente dell’evoluzione dell’epidemia sul territorio”. In questa seconda ipotesi rientrano “strumenti di analisi di Big Data e tecnologie hardware e software utili per la gestione dell’emergenza sanitaria”.

La call si chiuderà giovedì e il risultato non sarà una graduatoria o una vittoria, ma un elenco di soluzioni di cui tenere conto quando si sarà identificato un metodo che al momento non è ancora chiaro. “Siamo in una fase assolutamente preliminare – spiegano dal ministero dell’Innovazione -. Nessuna decisione è stata assunta. Per il momento siamo di fronte a una ricognizione delle tecnologie eventualmente esistenti per l’ipotesi in cui dovessero essere adottate in futuro decisioni politiche” che, sicuramente, dovranno avere la massima condivisione in Consiglio dei ministri.

Niente modello coreano, insomma, almeno per il momento. Soprattutto perché Seoul annovera tamponi quasi a tappeto. Il tracciamento digitale con la app – anche se arriva a un livello di dettaglio terrificante – parte solo dal momento in cui un test rivela la positività al Covid-19. A quel punto le app delle persone che sono state in contatto con il contagiato certo fino a 15 giorni prima allertano i loro “proprietari” e gli chiedono di mettersi in quarantena. I due elementi, dunque – app e tamponi a tappeto – devono andare di pari passo. Una conclusione a cui stanno arrivando, in queste ore, anche Germania e Gran Bretagna che stanno studiando lo stesso modello. E pur se alcune aziende hanno già pronti prototipi di sistemi di tracciamento, come quella che offre gratuitamente la Cy4gate (che sfrutta il gps per segnalare la compresenza di due o più positivi nello stesso spazio e relativi spostamenti) o quella che l’Umbria vorrebbe sperimentare già la prossima settimana e che ricalca la soluzione coreana, l’Italia non è però, al momento, in grado di sostenere una mole di test così elevata. O almeno non nelle zone ormai ad altissima densità di contagiati. Senza contare che non è detto che tutti scelgano di scaricare un software che li controlli.

A giorni dovrebbe invece partire la task force di esperti di dati, economisti e giuristi che analizzerà dati aggregati e anonimi, per capire l’impatto delle decisioni prese sull’evoluzione dell’epidemia, ma anche sull’economia.

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