L’emergenza

Coronavirus, le domande al governo che vanno fatte

Sanità italiana - Pronto soccorso veicolo dell’infezione, protocolli in aggiornamento, trattamento dei pazienti

25 Febbraio 2020

Lasciamo ai virologi e agli epidemiologi le analisi dei dati sulla diffusione e la pericolosità di Covid-19 (posto che esistono diverse scuole di pensiero anche tra i virologi più affermati, impegnati in un diuturno dibattito sui social: evidentemente la scienza è diventata democratica). Ma nel momento in cui si predispongono misure speciali per la Sanità pubblica, si chiudono le scuole, si isolano interi Comuni, e speriamo non anche a breve le grandi città, è ovvio che il tema è politico e riguarda tutti i cittadini, autorizzati a porre domande. Cerchiamo di farci portavoce delle principali questioni che sorgono in questa emergenza, sia da parte dei cittadini che dei medici in prima linea, sperando che le autorità competenti possano rispondere.

Gli ospedali dei centri con pazienti positivi sono diventati focolai di infezione, colpendo anche operatori sanitari che non erano sufficientemente protetti: adesso vige un protocollo di maggiore precauzione? Ci sono abbastanza mascherine, tute, occhiali, per chi è a contatto con pazienti a sospetto d’infezione? Si prevede di acquistarne altri lotti? I pazienti poi risultati positivi, prima di essere testati, hanno sostato nelle sale d’attesa insieme a pazienti sani: si sono predisposti dei percorsi protetti nei pronto soccorso, come in altri Paesi europei? Di quante ambulanze attrezzate per il trasporto protetto contro le contaminazioni si dispone?

Il protocollo “per la gestione del sospetto caso di infezione da 2019- n-CoV” in vigore negli ospedali dal 4 febbraio prevede l’uscita dal protocollo (non si fa il tampone) per i casi sospetti e sintomatici che siano stati esposti a una fonte di infezione (soggiorno in zone a rischio o stretto contatto con un malato) più di 14 giorni prima dell’inizio della sintomatologia: alla luce del fatto che ormai ci sono centinaia di casi secondari, il protocollo verrà modificato?

L’indagine epidemiologica finalizzata alla mappatura dei contatti e alla eventuale esecuzione dei test costringe a considerare sospetti tutti quelli che accusano sintomi e provengono da Lombardia, Veneto, ecc.? Oppure a questo punto decade il criterio epidemiologico territoriale e contano solo i sintomi? Considerando che siamo in fase di diffusione di influenza, c’è il rischio di finire i tamponi? Dove si confinano i pazienti in attesa delle risposte di laboratorio? Se li si destina tutti in uno stesso ambiente e poi si scopre che solo uno era contagiato, gli altri diventano automaticamente contatti: come verranno gestiti?

Di quanti posti letto totali in terapia intensiva disponiamo? Di quanti nei reparti di malattie infettive? Se il numero degli infettati dovesse superare quello dei posti letto disponibili, dove verranno trattati i malati? Nel caso si dovesse imporre la quarantena ai soggetti venuti in contatto con casi confermati, dove verranno isolati? Come si farà a pretendere che una persona negativa e asintomatica condivida spazi vitali con altre persone potenzialmente malate? La circolare del 22 febbraio prevede per il soggetto “riscontrato positivo al tampone per SARS-COV-2 e asintomatico la quarantena domiciliare con sorveglianza attiva per 14 giorni”: che ne è dei suoi conviventi e famigliari? Potrebbe succedere che anche malati sintomatici siano confinati in casa come in Cina? Nel caso, chi si occuperà della loro cura, igiene, approvvigionamento ecc.? Quante macchine per la respirazione artificiale ci sono? Ci sono scorte sufficienti dei farmaci antiretrovirali che si sono rivelati efficaci? Il test viene fatto anche sui pazienti già ricoverati per pregresse polmoniti e insufficienza respiratoria? Può darsi che abbiamo già (avuto) decine o centinaia di casi non diagnosticati? È pensabile chiedere la collaborazione di altri Paesi europei per l’invio di dispositivi sanitari e per posti letto?

Sappiamo che in situazioni normali c’è carenza di organico sanitario: si prevede di richiamare medici in pensione e neo-laureati? I numeri 112 e 1500 sono presidiati da personale sufficiente? Il numero verde della Lombardia fa uno squillo poi si interrompe, e gli altri sono quasi sempre occupati: verranno implementati? La presenza dell’esercito prevede l’uso della forza contro chi viola l’isolamento? Sui siti di e-commerce mascherine e gel disinfettanti sono venduti a centinaia di euro: è possibile prevedere sanzioni per le aziende che speculano sulla paura e sulla salute dei cittadini? È possibile avere da parte delle Istituzioni dati più esaurienti e rassicuranti sulla (non) pericolosità del virus in persone senza patologie pregresse? Crediamo che una risposta puntuale su tali questioni aiuti i cittadini a offrire quella collaborazione auspicata dalla Presidenza del Consiglio, convinti come siamo che l’unico modo di evitare il panico sia un’informazione chiara, razionale e obiettiva sulla situazione in corso.

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