l’intervista

Contagio, lo straniero come untore: intervista a Grignolio

Andrea Grignolo - Il professore del San Raffaele: “La paura delle infezioni è frutto di una lunga storia, ma la lotta contro i virus è una storia di successi”

25 Febbraio 2020

Il professor Andrea Grignolio, storico della Medicina, docente di Medical Humanities e Bioetica all’Università Vita Salute del San Raffaele di Milano e al Cnr, inizia la nostra chiacchierata con una parola di speranza. “Premessa: la situazione che viviamo oggi in Italia è seria ma non grave. La storia della medicina ci insegna che la lotta dell’umanità contro i virus è una storia di successi. Il dato più rilevante è che ogni anno guadagniamo tre mesi di aspettativa di vita”.

A cosa lo dobbiamo?

All’eccellenza del sistema sanitario nazionale, ai farmaci e anche alla nostra longevità. Tra i grandi Paesi siamo quello più longevo insieme al Giappone. È la prova principe che quella della medicina è una storia di successi. L’altra cosa è che se voltiamo lo sguardo indietro troviamo casi, come l’ebola per esempio, in cui in poco più di un anno è stato trovato un vaccino molto efficace. C’è da attendersi che questo accada anche per questo Coronavirus.

C’è stata una caccia all’untore di manzoniana memoria in questi giorni?

In realtà si è tentato di risalire al paziente zero perché la sua individuazione consente agli epidemiologi di ricostruire la catena di contagi. È così che si riesce a circoscrivere il virus. Detto questo l’approccio, negli ultimi vent’anni, è quello del cosiddetto “sistema immunitario-comportamentale”. Che cosa ci dice? Che non solo il nostro sistema immunitario è stato progettato per interagire con virus e batteri, infatti le grandi infezioni che abbiamo affrontato – morbillo, orecchioni, pertosse e via dicendo – sono state molto violente all’inizio e poi si sono attenuate. Con virus e batteri abbiamo una specie di accordo: tendono con il tempo a essere meno aggressivi. Ma anche il nostro cervello si è adattato: la paura delle malattie infettive è frutto di questa lunga storia. Così si spiegano gli atteggiamenti sempre meno democratici o altruistici, a volte perfino xenofobi, delle popolazioni di fronte alle epidemie.

Ce lo spieghi meglio.

È stato fatto un esperimento molto interessante. A due gruppi è stato chiesto di proporre aiuti economici a favore dei flussi migratori. Quando a un gruppo sono state offerte immagini e informazioni di potenziali rischi di epidemie, la volontà di fornire aiuti è drasticamente diminuita. Da un punto di vista evolutivo, e solo da un punto di vista evolutivo, è sensato. Le malattie viaggiano con uomini e merci. Pensiamo al mal francese e alla spagnola, le malattie vengono addossate spesso allo straniero, ma “lo straniero” possiamo essere anche noi, come quando nel 2018 abbiamo trasmesso tre casi di morbillo in Messico, un paese che lo aveva debellato dal 1996.

È vero che la spagnola è nata in Massachusetts?

In Usa, sì, ma si pensa anche al Kansas, altri ritengono provenga dal nord della Francia: difficile stabilirlo con certezza. Accusare gli altri Stati è tipico. Nemmeno il mal francese o morbolo galico (la sifilide) è nato in Francia. La spagnola, siamo nel 1918, fu utilizzata come strumento politico, visto che la Spagna senza censura ha avuto il coraggio di denunciare i primi casi. Ma è successo anche con il Coronavirus. Questo salto di specie è avvenuto tre volte – con la Sars, con la Mesr e oggi con il Covid-19 -ma nel primo caso fu denominato con Guangdong, il nome della provincia cinese in cui si era sviluppato. Poi l’Oms, per evitare conseguenze razziste, decise giustamente di chiamarla Sars. Nella storia della medicina, dicevo, delle malattie infettive vengono spesso accusati gli altri, gli stranieri, additati come untori.

Come ce lo spieghiamo?

In passato attraverso le vie del commercio e delle guerre si sono diffuse le grandi epidemie. Che appunto viaggiano: pensiamo ai topi per quanto riguarda le epidemie di peste. Tutti questi secoli di reciproche infezioni hanno creato questi timori.

Casi illuminanti del passato?

Uno è la conquista spagnola del Messico. Hernán Cortés all’inizio del 1500 entrò in contatto con le popolazioni mesoamericane che furono decimate – per il 98 per cento! – non per le spade ma per le malattie. Ci furono 2 milioni di morti. È difficile individuare le infezioni del passato, ma oggi i paleopatologi tendono a ipotizzare che si trattasse di salmonella enterica, paratifo o una febbre emorragica virale, anziché morbillo o vaiolo. I sudamericani non erano stati in contatto dall’ultima glaciazione con le malattie infettive che avevano gli occidentali, grazie al fatto che da secoli avevano addomesticato gli animali e da loro avevano preso virus che avevano fatto il salto di specie. Per contro, però, i messicani probabilmente trasmisero agli spagnoli la sifilide.

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