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Coronavirus, Lopalco (Università di Pisa): ‘Tanti contagi in Italia? Forse negli altri Paesi non verificano tutti i casi di polmonite. Bisogna preparare gli ospedali’

Pier Luigi Lopalco - Professore di Igiene e Medicina preventiva a Pisa: “Troppi operatori infetti, occorre preparare il personale”

24 Febbraio 2020

“I casi aumentano, sempre nella stessa area. Perché ora si fanno i test a chi ha i sintomi e, man mano che si va a scavare, quelli vengono fuori. E lo stanno facendo a un ritmo elevato. Si spera che siano dei cluster, che siano connessi l’uno con l’altro e che con le misure straordinarie decise dal governo si riesca a contenerle per un po’”. Pier Luigi Lopalco, professore ordinario di Igiene e Medicina preventiva all’Università di Pisa, non è sorpreso.

“Questo aumento dei casi è esattamente quello che ci si aspetta da un virus che si trasmette per via respiratoria”, spiega. “I calcoli fatti fin da gennaio dai modellisti ci dicono che ogni 6 o 7 giorni i casi raddoppiano. Significa che ogni settimana c’è un aumento esponenziale degli stessi. Numeri che valevano per la Cina e ora anche per l’Italia”. Come si spiega, però, che da noi c’è un numero di contagi sei volte superiore a quella degli altri Paesi europei? “È strano. Due possibili spiegazioni. La prima è che il nostro Nord est è zona di scambi commerciali con la Cina. È un area di produzione di tecnologia meccanica che ha un viavai di manager e tecnici con l’Estremo oriente che potrebbe aver fatto arrivare il virus senza far scattare l’allarme. Ma anche la Germania ha scambi con la Cina, si potrà obiettare”.

Di qui l’altra ipotesi, che riguarda il modo in cui ci siamo accorti del focolaio, cioè per caso. “Un signore di 38 anni aveva polmonite, un anestesista ha insistito nel domandare se avesse avuto contatti con la Cina e un’informazione sbagliata: l’uomo ha detto di essere stato con un amico che era stato lì, ma non era vero. Da qui il falso caso zero. Un semplice episodio epidemico. Allora domando: non è che in Germania sta circolando il virus ma i tedeschi, e anche gli altri Paesi, stanno cercando solo i contatti con la Cina e non stanno verificando tutti quelli che hanno la polmonite negativa per influenza, che poi si rivelano casi di Covid-19?”.

La questione del metodo riguarda anche l’Italia. “Da noi se uno si presenta con i sintomi in un ospedale a Roma gli vengono fatte alcune domande: ‘Sei stato in Cina?’ è la prima. La seconda: ‘Sei stato a contatto con persone che sono state in Cina?’. Se la persona risponde a entrambe no, il tampone non gli viene fatto. Questo sistema serve a trovare il famoso caso zero, ma se quest’ultimo non viene individuato e ha cominciato a creare casi secondari senza che nessuno se ne accorge, con questo metodo quelli secondari non li becchi. Il signore di 78 anni di Vo’ Euganeo che è morto non era stato in Cina, forse aveva contratto il virus giocando a carte al bar”. Ora bisogna attendere e osservare: “Se il caso zero è rimasto nella stessa area, si può contenere la diffusione. Se, invece, ora è in Campania è probabile che abbia creato una nuova catena di contagio lì e noi ancora non lo sappiamo. Ma se non siamo riusciti a trovarlo finora, difficilmente lo troveremo”.

Nel frattempo le istituzioni si sono mosse: le aree del Nord più colpite sono state isolate, sospese manifestazioni pubbliche e sportive, serrate attività commerciali, scuole e università. “Tutte misure utili a contenere, però la Cina ci ha dimostrato che la quarantena rallenta ma non blocca la trasmissione – spiega Lopalco –. Nonostante tutto il virus ha varcato i confini, ha raggiunto altri Paesi”. Come il nostro. “Ora il rischio è che i contagi si diffondano nelle grandi città. A quel punto? Chiudiamo Milano o Roma? Ormai non lo fermiamo più. Adesso bisogna fare in modo che il virus faccia meno danni possibile e approntare quella che si chiama ‘fase di mitigazione’, ovvero preparare gli ospedali”.

A partire dai piccoli centri, prosegue Lopalco. “Provi a chiamare il direttore sanitario di un qualsiasi ospedale di provincia e gli domandi se nell’ultima settimana ha fatto un’esercitazione o ha valutato quanti posti sono disponibili in rianimazione in caso di emergenza. Le dirà di no, perché nessuno ha detto loro come affrontare la questione: come preparare i percorsi per evitare che i potenziali malati si fermino nei pronto soccorso, attrezzare le stanze in modo che gli infettati siano isolati, fare scorta di materiali di protezione come mascherine e occhiali. Questo investimento non viene fatto”.

La sanità, quindi, a partire dal ministero dovrebbe entrare in un diverso ordine di idee. “Dobbiamo capire che sta arrivando una brutta ondata influenzale. La prima cosa è preparare il personale. Non sono preoccupato per il Sacco di Milano o lo Spallanzani di Roma, ma di tutta la provincia in cui ci sono strutture assolutamente impreparate. Fin quando i casi sono pochi, li si mette in ambulanza e li si manda al Sacco. Ma i numeri saranno simili a quelli di una epidemia influenzale, 10 o 15 casi di infezione al giorno in ogni cittadina, saremo pronti?”.

Un esempio che fotografa la questione la fornisce la cronaca: “Molti dei casi rilevati finora riguardano operatori sanitari. Quindi c’è gente che non si difende dalle infezioni in ospedale. Attenzione, non è questione di professionalità: siamo bravissimi nell’assistenza perché il livello dei nostri medici e dei nostri infermieri è elevato. Siamo meno bravi nella prevenzione”.

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