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Radicali, dai referendum al legale dei boss: la lobby garantista che piace anche ai mafiosi

Il viaggio promiscuo di diritti e impunità - Le battaglie contro il carcere, il voto dichiarato di Graviano, il ruolo dell’avvocato Capano

5 Novembre 2019

La storia di Antonino Nicosia non deve restare confinata nella sua dimensione penale. A prescindere dalla conclusione giudiziaria questa vicenda dovrebbe accendere un dibattito serio sulla natura di ‘lobby garantista’, usata come ‘bus’ dai criminali di ieri oggi e domani, assunta dai radicali.

Nel decreto di fermo a carico di Nicosia i magistrati sottolineano che l’ex trafficante di droga (condannato a 10 anni e 6 mesi nel 2006 in appello, pena scontata all’italiana visto che era già in giro dal 2009) aveva rapporti di natura anche politica con Michele Capano, già tesoriere dei Radicali Italiani e avvocato di boss di prima grandezza come Filippo Guttadauro. Nulla di illecito. Però gli episodi descritti dai pm di Palermo Francesca Dessì e Calogero Ferrara, e dall’aggiunto Paolo Guido, dovrebbero essere una buona occasione di riflessione politica. La metafora del bus sul quale possono salire anche i mafiosi non è nostra e non è nuova. Nel giugno 2017, dopo che giornali e tv avevano pubblicato le conversazioni di Giuseppe Graviano intercettate in carcere durante il processo Trattativa, i radicali rivendicarono la definizione come parte del loro Dna.

Graviano diceva: “L’ho votato sin dal primo momento che sono stato carcerato questo Pannella, fino al 2002, che ho avuto diritto al voto”. Poi aggiungeva “Se fossi in condizioni mi iscriverei al partito”. E Sergio D’Elia, della presidenza del Partito Radicale e segretario di Nessuno Tocchi Caino, spiegava che: “Si può iscrivere chiunque e nessuno può essere espulso per nessun motivo”. Graviano insomma era benvenuto. “Il problema – spiegava D’Elia – è che al 41 bis non permettono di fare il versamento della quota”.

D’Elia scolpiva: “Come disse Pannella nel lontano 1987, ‘Anche Piromalli può entrare nel partito che è servizio pubblico. Chi vuole, paga il biglietto e viaggia, per un anno, verso dove la diligenza si dirige. Il viaggio è promiscuo, possono salire sulla diligenza radicale anche i cattivi che spesso, proprio loro, salvano gli inermi”. O talvolta li portano nel burrone, aggiungiamo noi.

La direzione della diligenza e di Graviano era la stessa perché “per il suo status di ergastolano ostativo non posso non ricordare uno degli insegnamenti più forti di Pannella: ‘Spes contra Spem'”. Finché c’è vita c’è speranza. E le Corti ultimamente confermano.

Il boss Graviano (recluso dal 1994 all’isolamento e condannato per le stragi del 1992 e del 1993) nel marzo del 2017 si vantava di avere convinto anche altri a salire sulla diligenza radicale. Le sue parole, mai riscontrate, lumeggiavano scenari inquietanti. Diceva il boss che lui aveva scritto una “raccomandata in busta chiusa” nell’agosto del 2013 dal carcere. Dopo aver premesso che lui non voleva accusare Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (si avvale della facoltà di non rispondere) nella lettera accampava richieste sulla sua situazione carceraria. A detta di Graviano, proprio dopo quella lettera “Lui” era andato a firmare subito i referendum dei radicali sulla giustizia, tra i quali quello sull’ergastolo. Graviano mimava la firma di Berlusconi il 23 agosto 2013 con ironia. Così come Pannella irrideva quel giorno la linea del nostro giornale facendo il gesto dell’ombrello all’indirizzo di Travaglio. Si usa così sul bus ‘promiscuo’. Quando Avvenire nel settembre del 1986 storce il naso per il boss neo-radicale Piromalli, l’allora segretario Giovanni Negri insorge contro la “cultura oscurantista” del “piccolo inquisitore” e ricorda l’esempio dei cappellani carcerari.

Il viaggio “promiscuo” prosegue. C’è nel 1986 l’abbandono del vecchio bus a targa Dc per i fiammanti torpedoni Radicali e Socialisti. Secondo le dichiarazioni di molti collaboratori di giustizia, i capi della mafia appoggiarono nelle urne i due partiti dopo i referendum sulla responsabilità civile dei giudici. Salvo essere poi delusi dai “crasti” socialisti, secondo quanto racconta il fido Spatuzza. Nulla da dire invece contro i radicali.

In questo lungo viaggio promiscuo va inserito Nicosia. Al XVI congresso dei Radicali Italiani nel 2017 Nicosia si diceva felice perché finalmente “possiamo dare risposte a chi ci segue nelle battaglie per la giustizia quando ci chiedono chi possiamo votare”. Nicosia conduceva una trasmissione ‘Mezz’ora d’aria’ su Aracne tv e in quello spazio ha intervistato nel 2019 l’avvocato Capano sul cosiddetto ergastolo bianco. “In quella situazione – sottolineano i pm – versava (e versa tuttora) Filippo Guttadauro – cognato di Matteo Messina Denaro – difeso proprio dall’avvocato Capano”.

Capano oltre che legale del boss è stato tesoriere dei Radicali Italiani ed era nel Comitato nazionale con Nicosia. Difficile distinguere dove finisce l’attività professionale, perfettamente lecita, di Capano e dove inizia quella politica, altrettanto lecita. Ed è difficile distinguere in questa promiscuità dove finisce l’azione politica del radicale Nicosia e dove inizia quella dell’amico dei boss. “Nicosia il 1° febbraio 2019 si era recato insieme all’on. Giuseppina Occhionero (di Leu allora, ndr) nella Casa circondariale di Tolmezzo, ove si trovava Guttadauro, per fargli visita, per rassicurarlo del proprio impegno relativo alla sua ‘causa’ e, a tale scopo, proponendosi anche di presentare una interrogazione parlamentare per il tramite dell’Onorevole”.

Capano il 10 aprile 2019 rilascia invece dichiarazioni a Il Dubbio, edito dal Consiglio nazionale forense. Nel pezzo titolato “Un milione per avere notizie di mio cognato Messina Denaro” si leggeva: “La denuncia di Guttadauro, assistito dall’avvocato e militante dei Radicali italiani Michele Capano, è verbalizzata dall’ufficio di sorveglianza di Udine in occasione dell’udienza tenutasi il 20 marzo scorso per il riesame della misura di sicurezza dell’internamento a Tolmezzo”. Il caso era definito ‘emblematico’. Anche per noi lo è ma in un senso diverso.

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