Il dossier

L’uomo dei soldi a Savoini a pranzo con Salvini a Milano

Il “plenipotenziario” marocchino Khabbachi, che diede i 150 mila euro cascati nella turca, nel novembre 2015 al ristorante “Gli Orti di Leonardo” con il leghista

1 Agosto 2019

Salvini e Savoini in un ristorante di Milano, fianco a fianco a monsieur Khabbachi, l’uomo che sei mesi dopo consentirà al fedelissimo del segretario leghista di tornare da Parigi gonfio dei soldi ripescati dalla turca e trafugati nei vestiti per il rientro in volo verso l’Italia. Una vicenda rivelata ieri dal Fatto per la quale i pm milanesi che indagano su rubli e petrolio mostrano “attenzione”, ma sulla quale lo staff del ministro degli Interni è lapidario: “Non commentiamo, attendiamo eventuali sviluppi dalla magistratura”. Eppure Salvini dovrà dir qualcosa sul caso ribattezzato il “water-gate della Lega”, nel senso dei soldi salvati dallo scarico.

Il 27 novembre 2015 c’era anche lui al ristorante milanese Gli Orti di Leonardo, a due passi dal Cenacolo, insieme a Mohammed Khabbachi e a tutta la combriccola di leghisti che un mese prima si era trasferita alla corte di Re Mohammed VI: Salvini, Savoini, l’intermediario e interprete Kamal Raihane, il figlio dell’ex patron del Torino Massimo Gerbi e il dentista Claudio Giordanengo.

Non solo. L’indomani tutti ad esclusione di Salvini vanno alla partita Milan-Sampdoria. Giordanengo, all’epoca consulente della segreteria del Carroccio per il Nord Africa, ancora oggi si stupisce: “Khabbachi è un tifoso del Milan e voleva a tutti i costi vedere una partita. Io non lo sono, e mi era sembrato strano che arrivasse dal Marocco per vedere una partita secondaria. La sera prima siamo andati a cena sui Navigli, mancava solo Salvini. Torno a dire che io in Marocco c’ero ed era una delegazione prettamente politica, a questo punto però non posso escludere che ci sia una storia parallela che è proseguita altrove”. La storia è quella di un pagamento avvenuto sottobanco da parte del plenipotenziario marocchino Khabbachi a Savoini e a un altro italiano che resta avvolto nel mistero. Ma l’intera storia delle delegazione leghista, a ben vedere, lo è. Ieri è saltata fuori Souad Sbai, ex parlamentare del Pdl di origini marocchine in passato vicina alla Lega: “L’idea del viaggio in Marocco nel 2015 fu mia, e mi attivai per chiedere alle autorità marocchine di ricevere Salvini. Ma una settimana prima del viaggio ricevetti una chiamata da Savoini, il quale mi disse che era tutto a posto, tutto sistemato, e che ci avrebbe pensato lui. Per me è stato meglio non andarci, pensa se avessi fatto parte della delegazione…”.

Più si scava e più pesano i dettagli. Alla domanda se quei 150mila euro fossero per un affare privato di Savoini o per la Lega nessuno risponde, e già altre se ne aggiungono: chi pagava le trasferte dei leghisti alla corte del Re che sembrano gite turistiche e d’affari? Giordanengo si rivela ancora prodigo di dettagli: “Pagavano i marocchini, almeno così mi è stata venduta. Io non ho visto nessun conto, non ho dovuto prendere il biglietto d’aereo né niente. E dunque, conseguentemente, sono stato completamente e totalmente spesato: avevo una macchina con autista. Idem per la partita, i pranzi e per le trasferte”.

Dall’altra parte le cortesie non sono mancate: “Siamo andati agli uffici di Savoini al Pirellone perché Khabbachi e gli altri volevano vedere un panorama della città. Abbiamo avuto accesso agli ultimi piani dove c’è una bella vista su Milano. Hanno scattato delle foto ricordo”.

E qui si pone il tema, che tanto spiccio non è, dei rapporti che la Lega affidata a Savoini intesseva coi governi a trazione sovranista, come la Russia di Putin, come il regno del Marocco. Un terreno scivoloso per la diplomazia e gli interessi nazionali.

Non a caso ieri il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi ha dovuto rassicurare i parlamentari che per le missioni a Mosca Savoini non ha goduto di alcuna assistenza. L’ambasciata, ha detto, si è limitata ad ospitare un incontro del vicepremier al quale ha partecipato l’intera delegazione che lo accompagnava a Mosca.

E tuttavia in Marocco la delegazione leghista viene ricevuta con protocollo diplomatico, quasi che ministri, reggenti e funzionari locali avessero davanti una rappresentanza italiana ufficiale, non un partito in gita con un bagaglio di interessi economici e aziende da raccomandare per futuri appalti nel Maghreb. Salvini, va detto, non mostra particolare gratitudine verso tante premure. Dopo Savoini, non spende una parola per Khabbachi, il dominus di quelle relazioni che di mestiere esporta gli interessi del Re in altri Paesi. E che diverse volte è stato al loro fianco nelle vesti di pagatore.

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