L’inchiesta

Rigopiano, “La Prefettura non funzionava”: così fu ignorato il primo sos. Intercettazioni, il “metodo” di non attivarsi

18 Aprile 2019

La prefettura di Pescara non funzionava. Ed è proprio tale cattivo funzionamento che si cercherà di coprire agli organi investigativi”. Lo scrive un’informativa dei Carabinieri forestali, spiegando l’origine del depistaggio sull’inchiesta bis di Rigopiano.

Alle 11.28 del 18 gennaio 2017 Gabriele D’Angelo chiama dall’hotel Rigopiano. “Ci sono 45 persone, compresi 5 bambini, isolate dalla neve. Mandate al più presto una turbina a liberare la strada”. Quella telefonata, però, resterà ignorata, anche perché – sostengono gli investigatori – queste erano le direttive. E poi verrà omessa dalle relazioni di servizio, motivo per cui l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, i due viceprefetti Salvatore Angieri e Sergio Mazzia, più altri funzionari sono indagati per depistaggio nell’inchiesta bis sul disastro di Rigopiano.

Dalle intercettazioni agli atti si capisce meglio cosa successe. O meglio, cosa non funzionò. “La Prefettura non funzionava. Io mi ricordo quando sono arrivato, le prime riunioni le ho fatte io, ma potevo fare tutto io, son stato pure male”. Lo ammette il prefetto Provolo, e aggiunge che doveva essere chiusa perché “non c’erano le persone per farla funzionare”.

Con un’organizzazione migliore, forse, le cose sarebbero andate diversamente. Ma d’altra parte la carenza di personale non è l’unico motivo per cui gli allarmi furono ignorati. Erano le direttive date dagli stessi dirigenti a chiederlo. Lo si capisce dalle parole della coordinatrice della sala operativa, Ida de Cesaris: “Ho detto facciamo così: io con il mio cellulare privato mi relaziono con le istituzioni, ma i privati che si lamentano si rivolgano al Sindaco”. E appunto un privato era Gabriele D’Angelo. “Mica potevo sapere che poi ci sarebbe stata la valanga, che ci sarebbero stati ventinove morti”, si giustifica. Neanche col senno di poi, però, i dirigenti ammettono l’errore: “Se quella dice a questo D’Angelo chiama il tuo sindaco ha fatto bene”, spiega De Cesaris al suo vice Giancarlo Verzella, che le dà ragione: “Certamente, ha fatto bene”. Ma come notano i pm la direttiva “cozza” col piano della protezione civile. “Quello mi dice abbiamo paura. Se avete paura state li belli belli al caldo ed aspettate qualcosa facciamo”, commentava ancora la De Cesaris.

Questa telefonata prima viene ignorata. Poi sparisce anche dalle relazioni successive al disastro. Per questo la procura di Pescara nel dicembre 2018 ha aperto un nuovo fascicolo per depistaggio. L’indagine si è chiusa pochi giorni fa. Dalle intercettazioni emerge anche il rimpianto dei due viceprefetti Angieri e Mazzia di aver firmato quel documento: “Ti ricordi, io non ero felicissimo di firmarle queste cose”, dice Mazzia. “Dovevamo dirgli, noi guardate noi ce ne torniamo a casa. Lo so, dovevamo avere la forza di dirgli ‘visto che è così non è negli accordi non lo firmiamo e ce ne torniamo a casa”, risponde Angieri. Ma a chiederlo fu proprio Provolo, come emerge da un altro passaggio: “Perchè lì la relazione l’abbiamo fatta io e te, ce la fece firmare il Prefetto”. Adesso rischiano tutti il processo.

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