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Tav, Francia paga un terzo del tunnel, ma congela la tratta nazionale fino al 2038: la strategia di Conte sulla ripartizione dei costi

Il governo cerca la trattativa con Macron e Juncker sulla asimmetria dei costi per i 57 km di tunnel al confine, giustificati solo dagli interventi di Parigi sul proprio territorio, congelati per i prossimi 20 anni

12 Marzo 2019

Partita la fase uno dei bandi Tav, ora la palla passa al presidente del Consiglio italiano: riuscirà Giuseppe Conte a bloccare la fase due, quella che fra sei mesi darà il via ai primi appalti per il grande buco nella montagna? Intanto ha annunciato che incontrerà il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Che cosa dirà a Macron? Ha già accennato alla asimmetria dei finanziamenti tra Italia e Francia. Una sproporzione ben documentata anche dalla “Relazione tecnico-giuridica” dell’11 febbraio 2019, firmata dall’avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello.

A pagina 39, la “Relazione” riporta due tabelle molto istruttive. La prima dà conto della “ripartizione dei costi prevista dall’Accordo del 2012”, cioè il trattato sul Tav tra Italia e Francia che rinnova e completa (senza abrogarli) i trattati precedenti, a partire da quello firmato nel 1996 a Parigi. Il “costo complessivo dell’intervento”, cioè il tunnel di base che è il cuore del Tav, è di 9,63 miliardi di euro. Così ripartiti, mostra la tabella: 5,57 pagati dall’Italia, 4,05 dalla Francia. L’Italia si ritrova dunque a pagare il 58 per cento del tunnel di 57,5 chilometri, che però è solo per il 21 per cento (12,5 chilometri) in territorio italiano, mentre è per il 79 per cento (45 chilometri) in territorio francese. Risultato: l’Italia paga la galleria 280 milioni a chilometro, la Francia soltanto 60 milioni.

L’asimmetria è confermata anche nella ripartizione delle spese per comprare ed espropriare i terreni e rimuovere le interferenze. La tabella riportata nella “Relazione” cita dati del Cipe: la quota dell’Italia è di 172,24 milioni di euro, quella della Francia di soli 136,72 milioni. Se si considera che il Cipe nel 2017 ha autorizzato altri 57,26 milioni, il totale dell’Italia tocca quota 229,50.

Non è che i francesi non si siano accorti del regalo. Lo hanno rilevato nella Enquete d’utilité publique, procedura che analizza i lavori pubblici e valuta la loro utilità (una sorta di analisi costi-benefici). Ebbene, sul Tav conclude esprimendo perplessità sull’utilità dell’opera, ma valuta infine che possa comunque valere la pena di farla, perché tanto paga l’Italia: “L’operazione è positiva per la Francia, in ragione del fatto che l’Italia si accolla la maggior parte dei costi”. Da dove nasce questa disparità? Quando si trattò di definire le quote, l’Italia accettò un maggior impegno nel tunnel base, perché i francesi hanno – anzi avevano – molte più spese per il loro tratto nazionale, dallo sbocco del tunnel di base fino a Lione, che comprende anche due costosi tunnel a due canne, quello di Belledonne e quello di Glandon. Avevano: perché nel gennaio 2018 è stata presa in Francia una decisione che ribalta gli accordi: il Coi (Conseil d’orientation des infrastructures) ha deciso di rimandare le opere del tratto francese a dopo il 2038. È scritto a pagina 77 del rapporto sulla mobilità francese: “Non è stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi interventi, le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono chiaramente sfavorevoli in questa fase. Sembra improbabile che prima di dieci anni vi sia alcun motivo per continuare gli studi relativi a questi lavori che, nel migliore dei casi, saranno intrapresi dopo il 2038”. Un rinvio alle idi di marzo, o alle calende francesi. Intanto l’Italia paga subito di più il tunnel di base, facendo così da banca alla Francia, che restituirà la cortesia – forse – facendo i suoi lavori compensativi dopo il 2038. “Nel migliore dei casi”.

A questi argomenti, nella trattativa con la Francia, Conte potrà aggiungere quello della violazione da parte di Parigi dell’articolo 16 del Trattato del 2012. Dice che “la disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale”. Ebbene, questa “condizione preliminare” non è soddisfatta, perché la Francia non ha reso finora disponibile neppure un centesimo per la fase iniziata ieri, 11 marzo, con il lancio degli avvisi per il tunnel. L’Italia ha già messo sul piatto 2,63 miliardi, assegnati dalla legge di stabilità 2013 (governo Monti) e approvvigionati in quote annuali nel bilancio dello Stato tra il 2015 e il 2027. L’Unione europea per il tunnel ha messo a disposizione 0,57 miliardi. La Francia zero: non ha ancora deciso alcuna programmazione futura su base pluriennale per i finanziamenti del traforo, neppure attraverso l’agenzia pubblica Afitf (Agence de financement des infrastructures de transport de France).

Il ministro dei trasporti Elisabeth Borne ripete che gli stanziamenti ci sono. Ma proprio non si vedono: la legge di finanziamento ora in discussione nel Parlamento francese fa riferimento a opere pubbliche in generale e non ha cifre stanziate espressamente per la Torino-Lione, che anzi nella relazione del Coi è qualificata come “opera non prioritaria”. Strano sovranismo quello di casa nostra, che reclama sovranità in generale, ma poi non riesce a chiedere conto alla Francia dei conti del Tav, tutti sbilanciati.

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