Nel casertano

Camorra, i centi per minori a rischio in mano ai Casalesi. Che puntavano anche all’affare profughi

L’inchiesta - Una onlus gestita dalle figlie di un capoclan mirava al Cara di Mineo in Sicilia

24 Gennaio 2019

Una delle comunità di recupero di baby criminali e minori a rischio, l’Incontro, di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), gestite da una coop ritenuta vicina alla fazione Schiavone del clan dei Casalesi, veniva indicata dai motori di ricerca su Internet come “affittacamere”. Chi ha telefonato, però, ha sentito una voce in italiano incerto, quasi certamente uno straniero, riferire che stanze al momento non ne c’erano. La voce si è sparsa, qualcuno si è insospettito e si è chiesto cosa ci facesse un migrante in quello che a tutti gli effetti era un carcere minorile privato. Il resto è la cronaca di questi giorni: l’inchiesta della Dda di Napoli – pm Simona Belluccio, Antonello Ardituro e Vincenzo Ranieri – che ha svelato anche le mire della camorra sul business dei migranti, dopo dieci anni ininterrotti di gestione di centri di accoglienza per minorenni condannati e da rieducare, diventati nel tempo sette, come raccontato a metà gennaio da Rosaria Capacchione su Fanpage. Strutture facenti capo alla cooperativa sociale Serapide, di Casagiove, e sparpagliate tra Casapesenna, Casagiove, Santa Maria Capua Vetere e Villa di Briano, città e paesi in provincia di Caserta, guidati negli anni scorsi da sindaci e amministratori finiti sotto processo per collusioni camorristiche.

I figli dei boss nelle cooperative dei clan, un corto circuito figlio di qualche falla nel rilascio di permessi e accreditamenti da parte degli enti locali e del Centro della giustizia minorile, è il filone principale del lavoro della Procura guidata da Giovanni Melillo. Ma ce n’è un secondo, per ora appena iniziato, che affronta la questione migranti. Perché alle infiltrazioni della camorra nell’affare, gli inquirenti sono arrivati attraverso una richiesta della Prefettura che chiedeva la certificazione antimafia allargata per le cooperative e i centri del gruppo delle sorelle Eufrasia, Adalgisa e Rossana Del Vecchio, dal marito di Rossana, Massimo Zippo, e dalla madre delle tre signore, Regina Zagaria.

La onlus del Casertano voleva partecipare al bando per l’accoglienza al Cara di Mineo, in Sicilia, dei migranti minorenni non accompagnati. Per il quale è obbligatorio questo tipo di certificato, che affronta anche le parentele. Le tre sorelle sono le figlie di Paolo Del Vecchio, capoclan della fazione Schiavone condannato per camorra, implicato in una vecchia inchiesta sulle pressioni della camorra al mercato ortofrutticolo di Fondi (Latina). Gli investigatori, allarmati, hanno approfondito le indagini ed hanno contestato alcune irregolarità nella gestione delle comunità per minori ed i legami con i clan del territorio.

Le quattro pagine del decreto di perquisizione eseguito l’altro ieri dalla Mobile e dallo Sco riportano accuse di concorso esterno in associazione camorristica e riciclaggio dei proventi camorristici. I pm stanno già analizzando il materiale sequestrato nei comuni. C’è materiale che dovrebbe allargare, e di molto, il raggio d’azione delle indagini. Ci sono tracce della presenza di persone straniere nei centri. Bisogna capire come ci sono arrivate. E perché stanno lì.

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