Barcellona

Spagna, indipendentisti contro il governo: “Libertà per i politici e gli esiliati”

A un anno dalle elezioni - La sfida di Sánchez: il Consiglio dei ministri nella città “ribelle”

22 Dicembre 2018

Da una parte, l’unità della Spagna prima di tutto, dall’altra il riconoscimento della diversità culturale, oltre che delle ragioni economiche della Catalogna. Ma nell’anniversario delle elezioni nella Regione, il conflitto indipendentista si concentra su una questione prioritaria.

Llibertat presos polítics i exiliais”: lo striscione con la scritta in catalano (e in inglese) per chiedere “libertà per i prigionieri politici e gli esiliati” campeggia sul Palazzo della Generalitat, nonostante le proteste in città da parte di chi non si riconosce nella causa indipendentista. Da 14 mesi, ci sono 9 leader catalani in carcere e 7 in esilio, nonostante i dubbi sulla legittimità del carcere preventivo. Identità, minoranze, multiculturalità: anche quella catalana è una storia europea, diventata drammatica oltre le previsioni degli stessi protagonisti. Alcuni membri dell’allora governo catalano, Jordi Turull, Jordi Sànchez, Joaquim Forn, rischiano fino a 25 anni, con accuse pesanti che nessuno si aspettava, come ribellione e malversazione. L’anno scorso, la polizia spagnola intervenne con la forza per impedire lo svolgimento del referendum di indipendenza del primo ottobre. Barcellona era di nuovo in strada, mentre le proteste hanno le strade: il presidio di omnia protesta fuori dal Consiglio dei ministri che il governo ha scelto di fare qui. Per i catalani, una provocazione, sottolineata dal rumore dell’elicottero. Il faccia a faccia giovedì tra Pedro Sanchez e il presidente della Generalitat, Quim Torra, si è concluso con un nulla di fatto, ma un impegno comune verso il dialogo.

Dopo la sconfitta del Psoe in Andalusia, il premier spagnolo è più che prudente. Nel frattempo, al corteo dei Comités de Defensa de la República non mancano gli scontri. I manifestanti bloccano gli infiltrati di estrema destra. Una troupe tv di un programma spagnolo viene accolta con l’epiteto “Manipolatori”. “Libertà per i prigionieri politici” è lo slogan che risuona per tutta la città. Definizione tutt’altro che pacifica: il governo di Madrid non li considera tali. Eppure, dopo il referendum, l’esilio dell’allora presidente della Generalitat, Puigdemont, un’indipendenza quasi dichiarata, e una serie di competenze richieste (da una polizia in proprio alla gestione delle risorse economiche), lo stallo politico si rispecchia in un processo che di fatto inizia a gennaio. Un movimento trasversale di giuristi contesta il fatto che si tratti di un processo giusto. Non ci sarebbero gli estremi di pericolo di fuga e di ritorno a delinquere per il carcere preventivo. I “presos politicos” hanno appena smesso uno sciopero della fame, dopo che il Tribunale costituzionale di Madrid ha iniziato a esaminare dei ricorsi. Contestata la competenza al Tribunale di Madrid perché i reati sarebbero stati commessi in Catalogna. Quel che è certo è che non è stato possibile rivolgersi alla Corte europea di Strasburgo, perché prima tocca a Madrid pronunciarsi. Alle sei della sera la città si mobilita in un grande corteo unitario a Passeig de gracia. Un fiume di gente. “Ormai siamo considerati quelli che mangiano i bambini. Eppure qui non c’è mai stato un problema di convivenza”.

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