Sorpresa

Truffati dalle banche, il governo salva Intesa, Consob e Bankitalia: prendi il rimborso? Niente causa

Nella manovra, la norma sui rimborsi ai risparmiatori di Etruria & C. contiene lo scudo per gli istituti e le autorità di vigilanza: non potranno subire cause. Il condono tombale del credito

7 Novembre 2018

La verità, com’è noto, si nasconde dove può. E nel caso dei rimborsi ai cosiddetti “truffati dalle banche” è in un sub-comma anodino di un articolo della legge di Bilancio. L’effetto dirompente, almeno nelle intenzioni di chi l’ha inserito, è quello di salvaguardare le banche, ma soprattutto Consob e Banca d’Italia dal rischio di dover rispondere delle colpe “in vigilando” che iniziano a emergere nei tribunali. Un salvacondotto avallato dal governo, contenuto nella misura con cui promette di aiutare i risparmiatori a cui erano stati venduti strumenti inadatti al loro profilo di rischio, poi travolti dalle norme Ue sul bail-in.

Andiamo con ordine. In questi giorni è in atto lo scontro tra l’esecutivo e le associazioni dei risparmiatori delle quattro banche mandate in “risoluzione” a novembre 2015 (Etruria, Marche, CariChieti e CariFerrara) e delle due popolari venete (Pop Vicenza e Veneto Banca) liquidate e regalate a Intesa SanPaolo. Con quelle mosse sono andati in fumo i risparmi di 15 mila obbligazionisti e 440 mila azionisti. Travolto dalle polemiche, il governo Renzi ha previsto per i primi un indennizzo forfettario (l’80%) o l’accesso agli arbitrati dell’Anac. Per gli azionisti, il governo Gentiloni ha stanziato solo 100 milioni in 4 anni. Ora, con la legge di Bilancio (articolo 38), il governo gialloverde alza la cifra a 1,5 miliardi nel triennio prossimo. Soldi pubblici, provenienti dai “conti dormienti”, cioè conti correnti bancari, depositi etc. non toccati dai titolari da almeno 20 anni. Ci sono tre paletti: il rimborso ottenibile è limitato al 30 per cento della cifra persa e a un tetto massimo di 100 mila euro; e per richiederlo serve aver ottenuto una sentenza del giudice o dell’Arbitro per le controversie finanziarie della Consob che attesti la vendita fraudolenta delle azioni da parte degli istituti. Alle associazioni era stato promesso il rimborso totale. Luigi Di Maio le incontrerà domani, e promette di fare di più per fermare la rivolta.

Ma la novità più dirompente è un’altra. Secondo l’articolato, chi accetta il rimborso rinuncia a qualsiasi azione legale su quegli importi. Testuale: “L’accettazione equivale a rinuncia all’esercizio di qualsiasi diritto e pretesa connessi alle stesse azioni”, recita la lettera F, del comma 3 dell’articolo 38 della manovra. Un controsenso. Se fisso la soglia di rimborso al 30 per cento del danno subito – accertato da una sentenza – perché non posso rifarmi sulla banca per il restante 70 per cento? La manleva non era prevista per gli obbligazionisti. In quel caso, peraltro, il rimborso avveniva a carico di un fondo alimentato da tutte le banche italiane. Per gli azionisti, invece, il ristoro avviene con fondi pubblici.

Se non nella logica, la ragione della norma è da rintracciare altrove. In quello che è avvenuto tra fine 2017 e oggi. In questi mesi molti truffati hanno ottenuto dai giudici sentenze che obbligano le nuove banche, nate dalle ceneri di quelle in dissesto, a risarcirli. Un bel guaio per gli acquirenti degli istituti, da Intesa a Ubi (che si è presa Etruria, Marche e CariChieti). L’altro bersaglio da proteggere sono le autorità di vigilanza. Davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, Consob e Bankitalia si sono rinfacciate di non essersi fornite tutte le informazioni critiche di cui disponevano. Ne è emerso il sospetto concreto che si sia trattato di una “distrazione di sistema”: le banche in difficoltà hanno piazzato strumenti agli ignari risparmiatori sotto l’occhio socchiuso dei vigilanti, che a disastro emerso hanno accusato i banchieri di aver tenuto nascoste le nefandezze.

Il 9 agosto scorso, la Corte d’appello di Firenze ha annullato le multe comminate dalla Consob ai vertici di Etruria per non aver riportato nei prospetti dei bond emessi a fine 2013, i gravi rilievi mossi da Bankitalia a luglio 2012 e il 3 dicembre 2013, quando il governatore Ignazio Visco scrisse al cda: “L’istituto non è più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanamento”. Secondo i giudici, Consob sapeva tutto, grazie alle informazioni ricevute da Via Nazionale, e quindi le multe sono il frutto di un’azione tardiva. Un’inefficienza che spalanca le porte a richieste di risarcimento verso l’Authority di Borsa per colpa grave. Anche Bankitalia trema. L’ostacolo alla vigilanza è la trincea scelta da Visco per difendere la reputazione di Palazzo Koch: i banchieri furbi hanno gabbato gli ispettori. A dicembre scorso, però, gli ex vertici del Montepaschi sono stati assolti dall’accusa di aver ostacolato Bankitalia sui derivati usati per occultare le perdite. Prima ancora è stato assolto dallo stesso reato l’ex presidente di Etruria Giuseppe Fornasari, denunciato dagli ispettori di Visco. Che lo scenario possa ripetersi per le altre banche finite in dissesto è una prospettiva concreta. E la norma pensata dal governo gialloverde disinnesca questo pericolo. La versione che circola è che sia stata inserita su iniziativa del ministro dell’Economia Giovanni Tria, sensibile ai timori di Via Nazionale e a quelli di Ubi e Intesa. Ma l’imbarazzo dei 5Stelle lascia intuire che il salvacondotto per le vigilanze sia stato accettato in cambio del via libera ai rimborsi.

La novità contenuta in manovra è stata segnalata alle associazioni dei risparmiatori dall’ex commissario della bicamerale d’inchiesta, l’ex senatore Andrea Augello: “È un condono tombale che salva le banche e le autorità di vigilanza, le cui colpe sono emerse in maniera lampante nei lavori della commissione”, spiega al Fatto. Il modo peggiore per chiudere la vergognosa pagina della crisi bancaria italiana.

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