L’anticipazione

Enigate, tangenti miliardarie e depistaggi: il più grande scandalo di corruzione della storia d’Italia

In uscita - Pubblichiamo un estratto del libro edito da Paper First che ricostruisce con documenti esclusivi l’affare del giacimento nigeriano

Di Claudio Gatti
1 Novembre 2018

Le grandi storie di abuso di potere e corruzione iniziano spesso con una notizia breve e apparentemente insignificante. In questo caso a dare il via è stato un articoletto da me scritto il 1° agosto 2012 sulla testata per la quale lavoravo all’epoca, Il Sole 24 Ore. Allora non avevo consapevolezza che mi avrebbe portato a scrivere un libro-inchiesta su uno scandalo senza eguali.

Secondo l’economista Luigi Zingales, che ha vissuto alcuni dei fatti come membro del Cda di Eni, se le circostanze da me descritte fossero confermate dai tribunali “si tratterebbe del più grave scandalo della storia della Repubblica Italiana”. Si parla infatti dei massimi vertici di Eni, dall’ex ad Paolo Scaroni all’attuale ad Claudio Descalzi.

Ma quella di Enigate è anche una storia avvincente. C’è di tutto: corruzione, intermediazioni segrete, interessi privati in atti aziendali, un complotto che in altri Paesi occidentali sarebbe impensabile. I due consiglieri dell’Eni che sulle vicende in questione avevano sentito il bisogno di rafforzare la governance della compagnia petrolifera, Luigi Zingales e Karina Litvack, sono stati bersagli di una “antinchiesta” orchestrata da un avvocato al servizio dell’Eni per farli apparire pedine di un complotto inteso a delegittimare il vertice operativo della compagnia petrolifera.

Fortunatamente la Procura di Milano, con il supporto di quello che si chiamava Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia Finanza e dal 2018 è il Nucleo di Polizia economico-finanziaria, ha dimostrato che quell’anti-inchiesta era una bufala. La Procura di Milano parla di “un’associazione a delinquere finalizzata a depistare e a delegittimare l’autorità giudiziaria” concepita dal responsabile dell’ufficio legale dell’azienda italiana più internazionale e influente.

Quella di Enigate è però più di una storia di petrolio, nonostante quel campo petrolifero al largo delle coste nigeriane si dice abbia le più grandi riserve non ancora sfruttate dell’intero continente africano. Più di una storia di corruzione, nonostante la società occultamente controllata da un ex ministro del Petrolio nigeriano abbia ricevuto dall’Eni oltre un miliardo di dollari. E più di una storia di depistaggi, nonostante il 6 febbraio 2018 siano state applicate misure cautelari a due avvocati e un sostituto procuratore della Repubblica, e il responsabile dell’ufficio legale dell’Eni sia stato oggetto di un mandato di perquisizione, con l’accusa di aver depistato.

Enigate fa emergere il collegamento tra immigrazione e corruzione internazionale. Perché quel miliardo di dollari sottratto allo Stato nigeriano non è andato a costruire scuole migliori, non è servito a portare elettricità o assistenza sanitaria. Secondo l’ex governatore della Nigerian Central Bank, Lamido Sanusi, tra 2012 e 2013 sono stati sottratti dalle casse del Tesoro nigeriano tra i 12 e i 21 miliardi di dollari di proventi petroliferi. Come sorprendersi se nel 2017 tra le 119.247 persone sbarcate in Italia, il paese di provenienza più rappresentato sia la Nigeria?

Il programma elettorale del ministro dell’Interno Matteo Salvini parlava di combattere i trafficanti di esseri umani che lucrano sulla disperazione della gente. Ma è il momento di domandarci se a lucrare non siamo anche noi. E di guardare alle nostre responsabilità. Con il miliardo pagato dall’Eni a Dan Etete, l’ex ministro del Petrolio nigeriano, dopo essersi comprato aerei, ville e auto blindate, è accusato di aver distribuito centinaia di milioni ai suoi soci nei palazzi del potere. E per via di cleptocrati quali Etete, il sistema-Paese nigeriano sta collassando. A febbraio del 2018 il World Poverty Clock ci ha informato che la Nigeria ha superato l’India ed è ora il Paese con il maggior numero di persone in povertà estrema: quasi 83 milioni, il 42,4 per cento della popolazione.

Nel presentare i conti del 2017, l’ad di Eni Descalzi ha spiegato di aver “superato tutte le aspettative” nella riduzione dei costi di produzione di ogni barile di greggio. Tutto grazie alla ristrutturazione del gruppo da lui implementata che, però, non ha affrontato la governance. Nonostante la società sia sotto inchiesta per corruzione, per Descalzi e la presidente Emma Marcegaglia “la corporate governance di Eni rappresenta un esempio di eccellenza”.

Una radicale revisione della governance dell’Eni non è finora stata priorità neppure del suo azionista di maggioranza, il governo italiano. Anche perché finora nessuno ha pensato di chiedere all’Eni di farsi carico delle centinaia di migliaia di nigeriani che continueranno a bussare alle nostre porte spinti dalla mancanza di prospettive a casa propria.

Le vicende ricostruite in Enigate offrono un’opportunità di cambiamento. La si può ignorare, e perpetrare meccanismi che affamano popolazioni spingendole a fuggire e in Italia consentono a faccendieri vecchi e nuovi di far man bassa di quel poco che resta dei nostri beni nazionali. Oppure si può smettere di sovvenzionare cleptocrati all’estero e di accettare che in Italia aziende di Stato vengano usate dai dirigenti a fini personali.

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