Calabria

Ristoranti, cabine (e pure i lampioni). Il sindaco di Reggio e il filo con la cosca

L’inchiesta - Sul clan Libri arriva all’esponente dem (che non è indagato)

7 Settembre 2018

“Mi ha chiamato Falcomatà e mi ha detto se voglio la ‘Luna Ribelle’”. La cosca Libri e i contatti con il sindaco di Reggio Calabria stanno tutti in un’informativa del Ros, inserita nel fascicolo dell’inchiesta “Teorema”. Per i carabinieri si tratta di “acquisizioni rilevanti sotto il profilo investigativo”. Soprattutto le conversazioni in cui si parla della possibilità per Serafina Libri, figlia del boss don Pasquale, di acquisire la gestione del famoso locale reggino “La Luna Ribelle”, un ristorante sul lungomare della città dello Stretto che comprendeva anche il lido comunale. Un affare che poi non si è concluso, ma che aveva diversi zeri al seguito. “Campi solo con le cabine. Sono 15 mila euro al mese”. È la stessa indagata che ne parla col marito Demetrio Nicolò nelle intercettazioni consegnate alla Dda. Per gli investigatori, la figlia e il genero erano gli intermediari con i quali il boss (deceduto l’anno scorso) aveva “il controllo diretto di diverse realtà economico-imprenditoriali”.

Pasquale Libri non era uno qualunque. Per i pm, era il custode delle regole della ’ndrangheta. I magistrati sono riusciti a “documentare l’interessamento della cosca verso l’infiltrazione nel mondo politico-istituzionale”. Nelle 308 pagine scritte dal Ros c’è addirittura un capitolo sui rapporti “sussistenti tra la cosca Libri e il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà tramite Libri Serafina e il marito Nicolò Demetrio”.

Tenendo sotto controllo quest’ultimo, i carabinieri sono arrivati al sindaco del Pd, che non è indagato. Per gli inquirenti, però, c’è “un filo diretto” con la cosca. “Grazie infinite per gli auguri, Demetrio – sono le parole di Falcomatà subito dopo la sua elezione a sindaco – Ricostruiamo questa città! Ti abbraccio”. Era novembre 2014 e, dopo i disastri del centrodestra di Giuseppe Scopelliti (oggi in carcere), Reggio usciva da due anni di commissariamento per mafia.

Prima di ricostruirla, la città doveva essere illuminata. E se nella zona della “Pineta Zerbi”, dove la figlia del boss gestiva una gelateria, non c’era luce, era sufficiente inviare un sms a Falcomatà per lamentarsi. I Libri chiedono e il sindaco risponde: “È stata ripristinata? Fammi sapere”. “Grazie, tutto ok”. “Era lo stesso Falcomatà – scrivono i carabinieri – che si faceva carico di risolvere il problema”.

Al genero del boss, in vista dell’estate 2015, il sindaco avrebbe offerto anche la gestione del ristorante nella Torre Nervi, di proprietà del Comune. Gli indagati parlano dentro una Fiat Bravo e i carabinieri annotano: “Mi ha chiamato Falcomatà – dice Demetrio Nicolò – e mi ha detto se voglio ‘La Luna ribelle’”.

“Vai a trovare a Peppe (il sindaco, ndr) – è stata la risposta della Libri al marito – e ci dici che è una cosa che ci interessa e ci fa sapere se si deve essere puliti… in modo che possiamo mandare avanti qualche cristiano”. Un modo come un altro per indicare un prestanome a cui intestare la società per partecipare al bando. I Libri l’avevano anche trovato. Lo chiamavano “l’ingegnere” ed era originario di Taranto. A lui il genero del boss ha spiegato il progetto: “Ora che c’è Falcomatà… piano piano riuscirò a fare tutto quello… L’ho fatto con l’amministrazione contraria, voglio dire”.

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