M5s-Lega, al terzo uomo del Salvimaio io dico: ‘Ti vedo e ti piango’

12 Maggio 2018

Già a tempo debito questo diario si era occupato del cosiddetto premier Terzo Uomo, immaginandone sembianze e caratteristiche. Mai osando sperare, tuttavia, che un simile prodigio potesse avverarsi. Da quando però ha appreso che il governo Salvini-Di Maio (d’ora in poi Salvimaio) sta per estrarre dal cilindro un premier “né Lega né Cinquestelle” (Bonafede), né di qua né di là, né sopra né sotto, insomma né carne né pesce, l’estensore di queste righe non sta più nella pelle.

In preda alla stessa eccitazione di un cercatore di diamanti del Transvaal che, stremato, disilluso e sul punto di arrendersi s’imbatta in un abbagliante giacimento. Felicemente sbalordito come deve essersi sentito Allegri davanti alla prima e poi alla seconda papera del portiere del Milan (“Donnarumma uno di noi”). Poiché, come c’insegna il film di Sorrentino, Loro, la finzione può anche tradursi in un capolavoro, che difficilmente però raggiungerà la realtà sovrastante.

Per acconciarsi degnamente a codesta chimerica figura governativa il diario si è dunque messo a scartabellare tra le antiche reminiscenze affastellando riferimenti banalmente scolastici. Mitologici (l’ircocervo, metà capro metà cervo). Beffardi (“Al re Travicello piovuto ai ranocchi mi levo il cappello e piego i ginocchi”). Goldoniani (Arlecchino servo di due padroni). Commedia leggera (Georges Feydau, e la batteria di mariti adulteri, mogli cornute, amanti negli armadi). Citazioni insoddisfacenti che hanno convinto chi scrive a fare da sé, a misurarsi direttamente con l’imprevedibile natura umana. Poiché solo un sadismo compulsivo potrebbe affidare la guida del Paese a un qualunque galantuomo imponendogli il tormento di un Giano bifronte (ecco il rimando che mancava) costretto non a guardare il passato e il futuro, ma Luigi Di Maio e Matteo Salvini, contemporaneamente.

Pensate all’inferno del pover’uomo in quel di Palazzo Chigi, vessato dai due spocchiosi leader che gli entrano e gli escono dalla stanza e non fanno altro che strillare ordini contraddittori. Subito la flat tax. No, prima il reddito di cittadinanza. Cosa si aspetta a imbarcare i 600mila irregolari che abbiamo promesso agli elettori di rispedire al paesello? Lo ha promesso lui non certo noi, il conflitto d’interessi del Delinquente ha la precedenza. Qui comando io. Figurarsi, senza i nostri voti quello torna a fare lo steward allo stadio. E così via senza tregua. Nella tragedia che declina in farsa e in opera buffa, il nostro non potrà cantare “questa e quella per me pari sono” perché nel Rigoletto il duca di Mantova è un libertino padrone delle sue dissolutezze. Mentre nel Salvimaio (orchestrato su libretto di Sergio Mattarella) è il Terzo Uomo che soggiace alle altrui voglie. Fuor di metafora e provando a tornare seri, pur non tifando per la bizzarra coalizione giallo-verde, questo diario si permette un consiglio.

Si abbia il coraggio di scegliere una figura politica perché il governo del Paese non è l’Isola dei Famosi da cui estrarre, con tutto il rispetto, il diplomatico navigato, la giurista sui codici assisa o il manager per tutte le stagioni. La politica non s’improvvisa perché è la geometria che trasforma il quadrato in un cerchio. Esperta in lingue (biforcute) e l’arte di tradurre le parole in cose da fare. La politica è fatica, pazienza, il pugno nel guanto di velluto e la carezza capace di graffiare. L’arte della sintesi non s’improvvisa e se diventa talent chissà poi come finisce. Infatti al primo destinato a essere il Terzo rivolgeremo riverenti ma rassegnati lo stesso augurio (questo è l’ultimo sfoggio, giuro) di Teofilatto dei Leonzi quando sfida Brancaleone da Norcia: “Ti vedo e ti piango”.

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