Berlusconi non è mai cambiato, il Pd invece sì

14 Gennaio 2018

La domanda non implica un giudizio. Non ha senso tentare, adesso, dopo tutti questi decenni di potere e rovina, di dare giudizi su Berlusconi. Però Berlusconi li vuole, si fa avanti, chiede di essere notato. La sua pubblicità (la sua propaganda) è come quella dei prodotti che contano non sul nuovo ma sul conosciuto. “Fin dal 1992” si potrebbe leggere sui manifesti della campagna elettorale di Forza Italia se avessero un po’ di umorismo. Dunque Berlusconi e i suoi contano sulla reputazione. A prima vista sembra impossibile, perché in uno dei suoi curricula, il più noto e diffuso nel mondo, Berlusconi risulta espulso dal governo (il presidente della Repubblica glielo ha esplicitamente e pubblicamente chiesto), espulso dal Senato e intestatario di una condanna che vieta ogni accostamento ai pubblici uffici. Ma c’è l’altro curriculum, che Berlusconi ha compilato con mano ferma e con bravura, senza abbandonarsi a maledire il destino, e creandosi, per chi ci vuole credere, un’altra vita. In questo documento alternativo Berlusconi ha salvato l’Italia in generale (senza di lui stava letteralmente andando verso la rovina).

E in particolare ha immaginato e guidato, in patria e nel mondo, una serie di atti di governo che, dopo lungo abbandono, hanno restituito al Paese dignità, efficienza e il rispetto del mondo. E infatti faceva la spola tra Gheddafi e Putin che non si stancavano di onorare in lui la guida moderna di uno Stato moderno.

Diciamo la verità, dei due Berlusconi, l’espulso e l’acclamato, ha vinto il secondo. Il suo percorso è stato geniale. Non ha vinto su una parte di opinione pubblica, spaccando il Paese e creando una sponda di sostegno dura e fanatica alla Maduro. Ha vinto sui partiti, in un modo che non ha precedenti, certo non in Europa. Berlusconi in persona è entrato nella sede del grande nemico, il Pd, (portato dal Pd) e ne è uscito come il miglior amico, si può dire fra gli applausi. Il miracolo di Berlusconi è che non è cambiato lui, per esempio andando ad elencare ed ammettere i suoi errori che avevano spinto l’Unione Europea a chiederne l’accantonamento. È cambiato il Pd. Al punto che l’iniziativa di una separazione, nel momento politicamente utile, è stata presa da Berlusconi e subita dal Pd, che ha trattenuto con tutte le sue forze nel proprio governo una parte dei nuovi alleati (Alfano & Co). E da allora ha smesso comunque di essere un partito legato a un passato nobile e a un suo popolo che era rimasto in attesa. Questo popolo è stato abbandonato da un clamoroso trasloco altrove (ultimo indirizzo sconosciuto) di tutto ciò che si conosceva come sinistra. Dunque abbiamo individuato un punto essenziale della salvezza di Berlusconi. Come nella favola dell’animale più grosso che passa per primo attraverso il cespuglio di rovi, subendo le ferite da solo mentre chi segue attraversa intatto, Berlusconi si è trovato la strada aperta dalla strana politica autolesionista del Pd, verso un ritorno a destra, dove poteva di nuovo aspirare al comando. Ed eccolo qui. Non è, ma è candidato. Non è, ma è leader, non è, ma è presidente. E i Pd sono ancora coinvolti in una fervida e disorientante mosca cieca, ognuno intento a toccare e abbracciare qualcosa che non c’è.

Qui però bisogna far entrare in scena l’Italia, un Paese dove molti si sentono abbandonati perché non capiscono la fuga frenetica del Pd lontano dalla sinistra, lasciando sul terreno pezzi di Costituzione, di diritti umani e civili, di diritti dei lavoratori, di uguaglianza, di giovani, di abbandono dei migranti e dei poveri, di antifascismo.

E allora si rendono conto che Berlusconi, condannato o no, espulso o no, è sempre rimasto quello del 1992, finto, allegro, bugiardo e deciso ad aprire la strada alla destra. Ma non capiscono perché la sinistra sia in fuga. Possibile che Renzi, da solo e senza alcun risultato in mano, abbia potuto giocare e liquidare da solo il destino di un popolo che da decenni votava dove li aveva lasciati, liberi e fiduciosi, la Resistenza?

Direte che i partiti adesso sono tre, e che il nuovo partito è già il primo partito. È vero e infatti non puoi fare a meno di sentirne la voce: promesse di espulsioni, tagli, rinunce, regole implacabili, obbligo di credere, obbligo di ubbidire, obbligo di votare in rete, quando e come ti dicono, multe altissime per i disubbidienti, molte decisioni che vengono dettate, molto comando. Si prevede un fitto spostarsi di risorse (giustamente guadagnate o no) di coloro che hanno poco verso coloro che non hanno nulla. Si prevedono aiuti alle imprese continuando a dire “medie e piccole”, come se l’Italia finisse lì. E nessuno dice di quale mondo, di quali piani e progetti e ricerche e organizzazione del lavoro e immaginazione del futuro stiamo parlando. Ti chiedono di avere fiducia in qualcuno che non conosci e non devi conoscere. Sarà un momento che passa di disorientante malumore. Ma per ora la storia d’Italia non è a lieto fine.

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