Marco Travaglio

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I nuovi 5Stelle: cosa va e cosa no

2 Gennaio 2018

Le nuove regole varate dai 5Stelle per tentare di andare al governo, elettori e Rosatellum permettendo, cambiano i connotati al movimento fondato nove anni fa da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio da una costola del blog (che ieri si è separato dal M5S), fino a renderlo quasi irriconoscibile. In parte in meglio, in parte in peggio.

1. Le liste bloccate (imposte dal Rosatellum) della quota proporzionale saranno formate da candidati iscritti al M5S e votati online dalla base, che potranno presentarsi anche in un collegio uninominale (due multicandidature in tutto, contro le sei consentite dalla nuova legge). Invece i singoli candidati nei collegi uninominali saranno scelti da Di Maio e Grillo fra quelli che si propongono, ma anche fra “esterni” non iscritti al M5S ed espressioni delle professioni, dell’impresa e della cultura, purché “competenti” e compatibili col programma a 5Stelle, anche se provenienti da “sensibilità” e mondi diversi (alcuni dei quali potrebbero essere anche ministri). Un giusto equilibrio fra due estremi negativi: i nominati dall’alto e l’Armata Brancaleone. E una saggia apertura di un movimento troppo settario alla società civile.

2. Luigi Di Maio, “capo politico”, avrà l’ultima parola sui candidati “proporzionali” votati online dagli iscritti e potrà escludere – d’intesa con il “garante” Beppe Grillo – quelli con posizioni o “condotte contrarie al codice etico” (per esempio, alcuni eletti in Sicilia che rifiutarono di rispondere ai pm sullo scandalo delle firme false a Palermo), o al programma M5S, o semplicemente al “buon senso” (niente fanatici delle scie chimiche, No Vax ecc.). Una svolta condivisibile, che molti caldeggiavano per tenere alla larga quei personaggi improbabili che rendono i 5Stelle poco credibili e autorevoli.

3. Cade il divieto di stringere alleanze che, per chi le proponeva, aveva comportato anche l’espulsione. Si può chiamare come si vuole l’intento di Di Maio di farsi dare l’incarico dal Quirinale e di cercare intese programmatiche in Parlamento (costruendole – si spera – in anticipo con altri partiti), ma sempre di alleanze di tratta, visto che nessun governo nasce senza la fiducia della maggioranza delle due Camere. Un solo commento: finalmente.

4. I parlamentari eletti nel M5S saranno obbligati a “votare la fiducia… ai governi presieduti da un presidente del Consiglio espressione del M5S”, pena l’espulsione. È una pessima idea, non degna di chi un anno fa contribuì a salvare la Costituzione.

I 5Stelle insistono a predicare il vincolo di mandato, che però l’art. 67 della Carta esclude espressamente e nessuna maggioranza (né assoluta, né dei due terzi) consentirà mai di introdurre con una riforma costituzionale. Ogni tentativo di introdurlo (a parte la legittima espulsione di chi boicotta il governo del suo partito, sempre che questo non deragli dal suo programma) è destinato a infrangersi contro quel divieto, dunque è solo propaganda elettorale o dissuasiva. Se si vuole impedire e sanzionare il vergognosissimo e impopolarissimo fenomeno dei voltagabbana (un parlamentare su tre dell’ultima legislatura) riformando la lettera ma rispettando lo spirito della Costituzione, si può tentare la strada suggerita proprio in un’intervista al Fatto dal presidente emerito Gustavo Zagrebelsky: “Il parlamentare è libero di cambiare partito e anche di votare in dissenso dal suo gruppo. Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per passare all’opposizione, o viceversa (caso molto più frequente), subito dopo deve decadere da parlamentare: perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso politico della sua elezione”.

5. I parlamentari espulsi dovranno pagare una multa di 100 mila euro e dimettersi da parlamentari. Idem come al punto 4. Anche la multa e le dimissioni resteranno lettera morta: agli espulsi basterà tradire l’impegno sottoscritto, iscriversi a un altro gruppo e restare in Parlamento svincolati dalle regole del M5S. Ma, anche se fossero coerenti e si dimettessero, dovrebbero poi sperare nel voto della maggioranza della Camera di appartenenza, che respinge regolarmente le dimissioni dei suoi membri (com’è avvenuto cinque volte in due anni al senatore ex grillino Giuseppe Vacciano).

6. Chi cambia gruppo parlamentare dovrà pagare una multa di 100mila euro. Vedi sopra. Anche questa multa è pura retorica e non verrà pagata da nessuno: i vertici M5S non troveranno mai un tribunale disposto a obbligare un voltagabbana a pagarla.

7. Agli eletti sarà vietato “conferire incarichi come assistente a conviventi, affini o persone con rapporto di parentela fino al secondo grado”. Ottimo proposito per stroncare i familismi e i nepotismi da vecchia politica, anche se facilmente aggirabile (nel 2004 Salvini e Speroni si scelsero come portaborse al Parlamento europeo il fratello e un figlio di Bossi).

8. I parlamentari 5Stelle rinunciano a “ogni trattamento pensionistico privilegiato, all’assegno di fine mandato, a doppie indennità e a doppi rimborsi”. Regola già annunciata mesi fa durante la battaglia (persa) contro i vitalizi, perfettamente coerente con il proposito (condiviso a parole dal Pd con la legge Richetti, poi affossata dallo stesso Pd al Senato) di eliminare i residui privilegi dal trattamento pensionistico del parlamentari.

9. Altro obbligo: rendicontare tutte le spese sostenute nell’esercizio del mandato e a devolvere i rimborsi forfettizzati per la parte eccedente a un fondo per il microcredito. Così si codifica la prassi già seguita in questa legislatura, che ha fruttato quasi 90 milioni di euro per le piccole imprese. Sono proprio queste, insieme alla rinuncia a tutti i finanziamenti pubblici camuffati da “rimborsi elettorali”, alcune delle “diversità” dei 5Stelle più apprezzate dai cittadini.

10. Dovranno rinunciare alla candidatura gli indagati o imputati per fatti che gli “organi dell’Associazione” (il garante Grillo, il capo politico Di Maio, il comitato di garanzia Crimi-Cancelleri-Lombardi e i probiviri Catalfo, Carinelli e Fraccaro) riterranno “idonei a far ritenere la condotta lesiva dei valori, dei principi o dell’immagine del M5S”. Finalmente si mette in chiaro che non basta un avviso di garanzia (magari per la denuncia infondata di un avversario, o per un fatto ancora tutto da verificare) per eliminare qualcuno dalla vita politica. Ma al contempo non si può giudicare l’onorabilità di un candidato o di un eletto dalla fase dell’iter della sua inchiesta o processo. Tutto dipende dai fatti, accertati o contestati, che gli organi del movimento devono valutare caso per caso, assumendosi le responsabilità delle proprie scelte. Per certi fatti, gravi e/o infamanti e accertati, non bisogna neppure attendere l’avviso di garanzia per dare un taglio netto; per altri fatti, lievi e/o controversi, bisogna attendere la sentenza, di primo grado o addirittura quella definitiva. Purché la bussola sia l’art. 54 della Costituzione, che impone a chi esercita pubbliche funzioni due doveri in più rispetto ai cittadini comuni: “disciplina e onore”.

Ps. Le regole, alla fine, conteranno, ma fino a un certo punto. Per tentare di sciogliere l’iceberg dell’astensionismo e provare a recuperare l’abissale dislivello che separa i 5Stelle dal centrodestra (ammesso che l’accozzaglia FI-Lega-FdI si possa chiamare così), sarà decisivo il fattore umano: quali candidati verranno selezionati nei collegi e nei listini, quali ministri indicherà Di Maio, quali idee forti (e con quale efficacia comunicativa) il movimento riuscirà a imporre all’attenzione della gente in campagna elettorale. Senza inseguire gli altri sul loro terreno, senza rinunciare alla carica anti-sistema e lasciando fuori dall’agenda le idee balzane e improponibili. La partita, anche se il regime vuol farci credere che il risultato è già deciso, non è ancora incominciata.

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