L’inchiesta

Depistaggio Eni, così i pm hanno fermato le manovre dei registi del complotto. Che ora sono indagati

Da Trani a Siracusa, la Procura di Milano ha bloccato le mosse dei faccendieri Amara, Ferraro, Gaboardi per colpire i consiglieri Zingales e Litvack. Sostenevano che ci fossero manovre per far sostituire Descalzi. Di cui nel frattempo è stato chiesto il rinvio a giudizio per corruzione internazionale

10 Settembre 2017

Alla Procura di Milano è toccato districare il filo attorcigliato per anni dalle Procure di Trani e Siracusa. La pm Laura Pedio ora ha in mano un gomitolo con una trama intricata e oscura che si dipana tra Italia e Nigeria e che puzza di spioni e di petrolio. Ha a che fare con l’Eni, questa storia, un centro di potere che pesa quanto uno Stato. È la storia di un complotto. Coinvolge i vertici di Eni (l’ad Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni), un paio di consiglieri indipendenti dell’azienda petrolifera italiana (Luigi Zingales e Karina Litvack) e arriva a evocare l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. Sullo sfondo, faccendieri, petrolieri, manager, avvocati. E un grande affare, quello che ha portato Eni e Shell in Nigeria, a cercare petrolio nell’immenso campo Opl 245, previo esborso (secondo il pm milanese Fabio De Pasquale) di una mega-tangente da 1 miliardo e 92 milioni di dollari. Ma il complotto è reale o apparente? Chi sono le vittime e chi i burattinai? I pm di Milano rispondono ora a queste domande raccontando una commedia in quattro atti.

Atto primo, Trani, gennaio 2015. È il 23 gennaio quando alla Procura di Trani arriva un esposto anonimo: il primo di una serie di tre che raccontano un “programma criminoso” volto a “portare alla sostituzione dell’attuale manager Descalzi” con altri (l’ad di Saipem Umberto Vergine, oppure l’allora ad di Telecom Franco Bernabè). “Per fare ciò, sarebbero state esercitate pressioni sul presidente del Consiglio Renzi”. Come? Un uomo d’affari siriano, tale Raduan, prende contatti con un imprenditore del Giglio Magico, Andrea Bacci. Poi, dopo che Renzi nel 2014 ha nominato Descalzi, si mette in moto “un meccanismo di delegittimazione del nuovo vertice Eni”. Protagonisti: Gabriele Volpi, “noto imprenditore italo-africano” che opera in Nigeria, Luigi Zingales e gli avvocati Antonino Cusimano (capo dell’ufficio legale di Telecom), Luca Santamaria (legale di Bernabè) e Bruno Cova. Sullo sfondo, le inchieste aperte dalla Procura di Milano – da quel guastafeste di De Pasquale – su Eni-Saipem-Algeria e su Eni-Opl245-Nigeria. Nella seconda, Descalzi, il predecessore Scaroni e il “mediatore” Luigi Bisignani sono accusati per la tangente petrolifera in Nigeria. Arriva in Procura anche una registrazione in cui due persone – che si scoprirà essere Alessandro Ferraro e Massimo Gaboardi – sostengono la tesi della macchinazione. L’Eni entra in partita consegnando documenti richiesti dai pm di Trani, Carlo Maria Capristo e Alessandro Pesce. Gli anonimi, curiosamente, mostrano di sapere ciò che solo dentro l’Eni si sa, per esempio che tra quei documenti ci sono email tra Zingales, critico contro le eventuali pratiche illegali di Eni, e la presidente Emma Marcegaglia.

Atto secondo, Siracusa, agosto 2015. Il 13 agosto 2015, il sedicente imprenditore Alessandro Ferraro presenta una denuncia alla Procura di Siracusa in cui racconta di essere stato sequestrato nella notte da tre uomini, due neri e un italiano. Interrogato, racconta al pm Giancarlo Longo una storia identica a quella arrivata anonima a Trani: il complotto contro i vertici Eni. Poi deposita ai pm un documento (“Report n.1”) firmato da Massimo Gaboardi. Contiene la stessa vicenda: un tale Raduan Khawthani, uomo d’affari mediorientale in contatto con gli imprenditori renziani Marco Carrai e Andrea Bacci, avrebbe tentato d’imporre a Renzi la nomina di Vergine al vertice di Eni. Fallito quell’obiettivo, è partita una campagna diffamatoria. “I servizi nigeriani hanno invaso le email di Eni con una serie di informazioni” poi usate “da Zingales e Litvack”. Gaboardi fa entrare in partita anche un nuovo personaggio: Vincenzo Armanna, “ex dirigente Eni che odia Descalzi ed Eni”. Armanna racconta al pm che un nigeriano, Kase Lawal, gli ha chiesto, in cambio di 2 milioni di dollari, di “demolire Descalzi”, proteggere Scaroni e favorire Vergine. Armanna aggiunge che gli era stato chiesto di “diffondere l’informazione, falsa, sul finanziamento da parte dell’intelligence israeliana delle campagne elettorali” di Renzi. Intanto l’8 luglio 2016 i pm di Siracusa mandano un avviso di garanzia per diffamazione aggravata a Vergine, Zingales e Litvak. Curioso: per la diffamazione si procede solo dopo querela di parte e nessuno ha querelato i tre. Il 15 luglio, il procuratore Giordano si libera del caso, mandando gli atti a Milano. Fuori tempo massimo, il 28 luglio, col fascicolo già a Milano, il direttore degli affari legali di Eni, Massimo Mantovani, “sana” l’anomalia e invia a Siracusa la querela di parte contro i tre.

Atto terzo, Milano, luglio 2016. Il 15 luglio 2016 il fascicolo processuale arriva a Milano, nelle mani del pm De Pasquale. Il magistrato sente puzza di depistaggi e capisce che le manovre squadernate a Siracusa potrebbero avere come obiettivo quello di azzoppare la sua indagine per corruzione internazionale su Opl 245, con indagati Scaroni, Descalzi e Bisignani. Legge le carte, interroga i personaggi coinvolti e smonta il “grande complotto”. Appura che Alessandro Ferraro, il “grande accusatore” dell’indagine di Siracusa, è “persona che ha subito numerose condanne per ricettazione, truffa, falsità materiale, sostituzione di persona, uso abusivo di carte di credito”, già in passato arrestato e condannato. E il renziano Bacci? Sì, aveva parlato di Vergine con Raduan Kawthani, ma era soltanto una “blanda raccomandazione” rimasta senza alcuna conseguenza. De Pasquale riesce a ribaltare la prospettiva. Quelli che secondo Trani e Siracusa avrebbero ordito il complotto sono vittime del complotto ordito da chi lo denunciava. Più complesso, ricostruisce De Pasquale, il ruolo di Armanna: “Le sue dichiarazioni (…) potrebbero avere una base di verità, ma ciò in nessun modo consente di affermare che quanto esposto negli scritti anonimi recapitati a Trani abbia fondamento”. Il pm il 20 marzo 2017 chiede l’archiviazione delle accuse a Vergine, Zingales e Litvack.

Atto quarto, Milano, oggi. Siamo alla scena finale di questa vaudeville, con il rovesciamento dei ruoli. Entra in partita la pm della Procura di Milano Laura Pedio. Se i “diffamatori” sono vittime innocenti, i colpevoli devono essere coloro che li hanno accusati: quelli indicati come i registi del “complotto” (Vergine, Varone, Zingales, Litvack) sono vittime di un “complotto” architettato da quelli che si erano presentati a Trani e Siracusa per denunciare il “complotto”: Ferraro e Gaboardi, insieme con personaggi nigeriani. Ma hanno fatto tutto loro? Personaggi squalificati come Ferraro e Gaboardi avevano solide sponde nell’Eni: come l’avvocato siracusano Pietro Amara, “legale esterno di Eni spa” in processi per reati ambientali. Amara, Ferraro, Gaboardi e “altre persone interne ad Eni spa in corso di identificazione” sono ora indagate a Milano per associazione a delinquere, ha scritto Luigi Ferrarella venerdì sul Corriere della sera: per aver “concordato e posto in essere un vero e proprio depistaggio” per “intralciare lo svolgimento dei processi in corso a Milano contro Eni e i suoi dirigenti” e “per screditare i consiglieri indipendenti di Eni”.

Ora la pm Pedio dovrà metter la parola fine a questa storia.

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