Riforma del processo penale: due cose buone e una cattivissima

20 Marzo 2017

Deve ancora passare alla Camera. Ma non ci saranno modifiche e dunque la riforma del processo penale è cosa fatta. Un paio di cose buone e una cattivissima.

I termini di prescrizione sono stati allungati; non di molto, solo 3 anni complessivamente: 1 anno e 6 mesi dopo la sentenza di primo grado e 1 anno e 6 mesi dopo la sentenza d’appello. Considerato che la sentenza di appello arriva – oggi – dopo 4/5 anni dalla sentenza di Tribunale, si capisce che non è un gran guadagno. Si sarebbe dovuto abolire la prescrizione dopo la sentenza di primo grado; o almeno sospenderla fino al processo di Appello, 1 anno o 10 che siano.

Ma, se mai c’è stato un caso di bicchiere mezzo pieno, è questo. Anche perché è stato previsto un nuovo caso di sospensione: quando è stata richiesta una rogatoria internazionale, la prescrizione è sospesa fino a quando l’autorità estera ha adempiuto; o comunque trascorsi 6 mesi dalla richiesta. Anche qui si sarebbe potuto fare di meglio: che ne può il pm o il giudice italiano se il collega straniero è pigro o se la rogatoria è complicata? Comunque meglio di niente.

Per alcuni reati sono state aumentate le pene, sia nel minimo che nel massimo. Il caso più importante è quello dello scambio elettorale politico mafioso: da 4 a 10 anni si passa a 6-12. Il che significa maggiori difficoltà a irrogare pene che consentano l’immediato affidamento in prova al servizio sociale, almeno qualche mese di galera se lo devono fare; e soprattutto l’allungamento dei termini di prescrizione: si passa da 13 anni e 4 mesi a 14 anni; non è un gran che ma in qualche caso questi 8 mesi possono fare la differenza. Pene aumentate anche per il furto in abitazione, il furto con strappo, la rapina e l’estorsione.

Ma, se non cambia l’ordinamento penitenziario, in particolare la famigerata legge Gozzini, resta l’assurdo che pene fino a 3 anni non si scontano e che, comunque, ogni pena viene effettivamente scontata solo per la metà.

Detto questo, resta l’ennesima dimostrazione che Andrea Orlando e i suoi consiglieri non capiscono niente di come funziona il processo penale.

La premessa è: le indagini del pm hanno un termine di scadenza; dopodiché o si rinvia a giudizio o si chiede l’archiviazione. Siccome il carico delle Procure è micidiale e tutti i processi non si possono fare, i pm scelgono: questo processo è molto importante, lo faccio prima degli altri che tratterò quando e se avrò tempo. Oppure; questo processo si prescriverà prima di arrivare in Tribunale, inutile perdere tempo, aspetterò che la prescrizione sia maturata e poi chiederò l’archiviazione.

Non è un gran sistema perché lascia al pm una discrezionalità non controllata, ma è sempre meglio dell’illusione di fare tutti i processi, magari in ordine alfabetico o cronologico, e farli prescrivere quasi tutti; oppure far celebrare i processi per ingiuria o diffamazione e far prescrivere corruzioni, frodi fiscali e falsi in bilancio.

Adesso, sia semplice ignoranza o desiderio di sottomettere le Procure, la riforma obbliga il pm a decidere cosa fare, rinvio a giudizio o richiesta di archiviazione, entro 3 mesi dalla scadenza del termine delle indagini preliminari: se non lo fa, procedimento disciplinare. Fine della scelta ragionata su quali processi fare e quali non fare; la strategia diventa: chiudere tutto entro i termini, indagini fatte o no che siano.

E come si fa? Semplice, si rinvia tutti a giudizio: capi di imputazione approssimativi, prove non acquisite, se la veda il gip o il Tribunale, il cerino non si spegne nella mia mano. Naturalmente anche così migliaia di processi non si chiuderanno; e qui altra ideona: passeranno tutti in Procura generale; che non potrà fare niente, sono quattro gatti; quindi, anche qui, tutti a giudizio. Dell’altra possibilità, la richiesta di archiviazione, non se ne parla: mica possiamo perdere tempo a motivarla; innocenti e colpevoli, tutti in Tribunale. Che naturalmente non ce la potrà fare con conseguente prescrizione a gogo.

Insomma, la sagra dell’incompetenza; o della malafede.

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