l’intervista - Carlo Verdone

Stadio della Roma, Verdone: “L’avemo fatto strano, ma alla fine ha vinto il buon senso di tutti”

L’attore, tifoso romanista, esulta per il sì a Tor di Valle: "Pallotta fa solo business? Un presidente serio fa affari". "Lì per 50 anni hanno fatto le corse i cavalli, mica le sogliole, e non s'è mai allagato niente". "Io il posto lo conosco: è una cloaca immane, merita un'occasione"

26 Febbraio 2017

Sfogliando l’agendina nella solitudine e nel caldo ferragostano, l’Enzo di Un sacco bello, il primo film di Carlo Verdone, salta da Stadio Olimpico a Olimpico Stadio sognando un viaggio in Polonia. La nuova arena della Roma a Tor di Valle evoca altri viaggi, altri peccati e altri miraggi e, per la gioia di uno dei suoi tifosi più celebri, si farà. “L’avemo fatto strano – ride – gli abbiamo tolto un po’ di cubatura”.

Festeggiati i 40 anni di carriera nella reggia di Caserta, può sorridere ancora.
Ero in apprensione. E come me tutti i veri tifosi. Al ristorante clienti e camerieri avevano gli occhi sui telefonini con le ultime notizie. Aspettavano il risultato dell’incontro in Campidoglio. Quando Pallotta aveva detto: “Se non si farà lo stadio sarò costretto a vendere alcuni campioni”, ci siamo preoccupati. Non credo bluffasse.

Non poteva trattarsi solo del legittimo tentativo di mettere pressioni alla Giunta?
Poteva, ma penso che Pallotta fosse sincero. Al di là del tifo, sono contento soprattutto di una cosa.

Quale, Verdone?
Ha vinto il buon senso. Da una parte e dall’altra. Hanno rivisto le cubature? Avranno avuto i loro buoni motivi. Però lo stadio si farà. Una bocciatura in toto del progetto, glielo dico, non l’avrei compresa.

C’è chi per osteggiare la costruzione del nuovo stadio della Roma ha parlato del rischio allagamento.
Lì per 50 anni non ci sono state le corse delle sogliole, ma dei cavalli e non si è mai allagato un cazzo. Non è la Via Salaria, dove se piove rimani impantanato e te devono venì a pijà con l’elicottero. Quello è un posto di cui avere paura, altro che Tor di Valle.

Chi premeva per l’approvazione del progetto insisteva sulla riqualificazione di Tor di Valle.
Mi sembra un ottimo argomento. Ora le dico una cosa: io alle corse ippiche non sono mai andato, ma conoscevo quel campo per averci visto tanti concerti rock. Le dico la verità: era un posto miserabile. L’Idroscalo, il posto in cui morì Pasolini, al confronto sembra Versailles. Tor Di Valle è una cloaca immane. Sei mangiato dalle zanzare, circondato da rifiuti, siringhe e stalle abbandonate. Chi ruba di qua, chi ruba di là. Cosa è stato fatto in questi anni per rendere dignitosa la vita di chi ci abita? Niente. Mi chiedo come mai quella zona non meriti un’occasione, dei posti di lavoro, un indotto che la possa risollevare.

A Roma non si è parlato d’altro per settimane. È un riflesso di provincialismo?
Non è vero. È snob sostenerlo, così come è stupido e insopportabile ascoltare il solito refrain: “Ma tanto a Pallotta che je frega della Roma? Lui è interessato solo al business e allo stadio”.

Perché è insopportabile?
Perché è una cazzata. Un presidente serio deve fare affari. Se non lo fa, non può competere, comprare i grandi giocatori, ambire a primeggiare. Me lo spiegò lui stesso a pranzo, in America. Era esausto, le parlo di 3 anni fa, perché non riusciva ad avere mai un appuntamento. Prendeva l’aereo da Boston e poi ci faceva ritorno senza aver incontrato nessuno. “Il vostro Paese – mi disse – è una follia”. Pensai che avesse ragione e mi dissi: “Ma se questo signore va via, chi se la compra la Roma?”. Ma si ricorda quando prima di Pallotta ci si chiedeva chi sarebbe arrivato? Tutti cialtroni.

Non sarà un riflesso provinciale, ma per la rinuncia alle Olimpiadi in città ci fu meno emozione.
Ho letto molto in un senso e nell’altro e poi mi sono arreso alla violenza delle campagne stampa contrapposte e alla confusione. A me dispiace che non si siano fatte. Le grandi opere le realizzi solo coi grandi eventi. Questa è una città a cui devi mettere il pepe al culo. Altrimenti tutto ristagna nell’incredibile burocrazia di Roma, una burocrazia del declino. Me lei lo sa che andiamo ancora avanti con le opere delle Olimpiadi del ’60? Magari erano brutte, ma generarono lavoro e all’epoca furono considerate moderne.

Nessun rimpianto per lo Stadio Olimpico?
All’Olimpico, tra una tessera, una controtessera e una tv, ormai vanno in pochi. E vuoto è inutile, triste, tremendo. Sembra una cattedrale moldava vuota. Recentemente sono stato nello spogliatoio coi giocatori. Mi si è avvicinato De Rossi: “Dimmi che c’è qualcuno in curva”, mi ha detto. “No Daniè – ho risposto – c’è poca gente, 4 gatti”. “Oh santo dio, ma se può continuà così? Ma ci pensano a noi che andiamo in campo?”.

Ci hanno pensato.
Ho visto a Ginevra uno stadio quasi identico a quello che sorgerà a Tor di Valle. Uno stadio piccolo, accogliente, moderno, funzionale. Come quello della Juve che a un luogo che impreziosisse l’appartenenza ha pensato subito.

Quanto ha inciso psicologicamente nel sì di Raggi l’idea di poter allentare l’assedio mediatico?
Non lo so. Certo avere i tifosi incazzati sotto al Campidoglio non fa piacere. La protesta si sarebbe allargata e alla fine avrebbero perso un po’ tutti. È andata diversamente, ci si è messi intorno al tavolo, si è discusso da persone civili. È una buona notizia.

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