Banche, il filo da Tremonti a Padoan

3 Luglio 2016

Le periodiche alzate di ingegno governativo per sanare le croniche convulsioni del sistema bancario italiano si iscrivono in un insano, quanto puerile, disegno che lega Berlusconi e Tremonti a Renzi e Padoan. Il supremo obiettivo della politica economica italiana (reso drammatico dalle conseguenze della Grande Recessione del 2008-09) consiste nell’assicurare ai cacicchi locali e ai capataz nazionali i flussi di risorse con cui foraggiare le clientele, senza le quali non si sopravvive elettoralmente. Basta confrontare quanto successo a Roma non appena Mafia Capitale ha interrotto l’elargizione di fondi tramite cooperative rosse e camerati neri: Forza Italia è sparita e il Pd attende il lanciafiamme. A Milano, invece, dove Expo ha veicolato sprechi e tangenti, i partiti tradizionali hanno tenuto alla grande e il dominus ha raccolto le messi nelle urne.

Da Berlusconi a Renzi, passando per Monti e Letta, l’intreccio di politica parassitaria, alta burocrazia inetta e informazione irregimentata, non potendo ricorrere a ulteriori massicci debiti, si è concentrato ad escogitare il trucco per far pagare ai Tedeschi (e alla Ue in generale) il conto che le fette di elettorato marcio reclamano ad ogni elezione.

I Tremonti bond, i Monti bond, i favori al Monte Paschi, il salvataggio di Etruria e delle banche adriatiche, la pagliacciata del fondo Atlante, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, le Gacs (garanzie sulle cartolarizzazioni di crediti inesigibili) sono altrettanti marchingegni funzionali a questa strategia volta a proteggere quelle parti del sistema bancario italiano usato come greppia di intrecci non troppo edificanti.

L’abborraciata proposta (apparentemente accettata dalla Commissione Ue, ma senza divulgare i dettagli) di una garanzia pubblica fino a 150 miliardi e per sei mesi su obbligazioni che dovrebbero assicurare liquidità alle banche, rappresenta la new entry nella scombinata sequenza di espedienti. Con un tocco di comicità: si asserisce che queste garanzie sono “precauzionali” e ne potrebbero beneficiare solo banche “solvibili”.

Una banca solida nell’area euro in questo momento può ottenere liquidità dalla banca centrale a interessi negativi. Escludendo il masochismo, perché mai banche solide preferirebbero emettere obbligazioni sul mercato pagando interessi positivi, oltre alla garanzia pubblica? L’unica spiegazione è la mancanza di collaterale da girare a Francoforte. Ma una banca che abbia scarso collaterale o di qualità nulla non è certo una banca solida. Lo stesso dicasi di una banca che in caso di turbolenze non riesce a piazzare le sue obbligazioni.

Le banche devono saper gestire il rischio di solvibilità durante le crisi. Se il mercato non le finanzia vuol dire che non le ritiene solvibili. Il probabile obiettivo di queste manfrine è tattico: creare un precedente sulla violazione degli aiuti di Stato, con la scusa della Brexit, da poter maneggiare alla prima occasione come grimaldello per snaturare l’applicazione della direttiva europea Brrd (quella sul bail in) e creare un mega fondo Atlante che intervenga nella ricapitalizzazione delle banche e nella ripulitura dei crediti deteriorati. In definitiva aggirare i paletti europei per preservare gli assetti di potere senza troppi traumi e senza scoperchiare ulteriori verminai.

Tale stratagemma finirà per seguire lo stesso destino dei sempre evocati e mai ottenuti eurobond. Anche perché l’Italia presenta un handicap: il governatore e i vertici di Bankitalia hanno dilapidato il loro capitale di autorevolezza permettendo per insipienza, per sottovalutazione o altro che la situazione degenerasse. La loro permanenza costituisce una piaga nella credibilità dell’Italia.

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