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Il Comune a trazione leghista riapre 7 cave di marmo. Rabbia degli ambientalisti: “Invitiamo i turisti nella natura? Pare di essere nel cantiere Tav”

Il provvedimento del sindaco: tra le riaperture anche la “Cresta degli Amari” nel Parco delle Alpi Apuane. Sullo sfondo il solito problema: la marmettola, una fanghiglia biancastra con metalli pesanti, si deposita negli alvei dei corsi d’acqua
Il Comune a trazione leghista riapre 7 cave di marmo. Rabbia degli ambientalisti: “Invitiamo i turisti nella natura? Pare di essere nel cantiere Tav”
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I Comuni apuani continuano a riaprire cave dismesse da decenni, ormai rinaturalizzate, a favore del comparto estrattivo del marmo e a danno delle economie di valorizzazione del patrimonio paesaggistico e naturalistico del Parco delle Alpi Apuane e delle aree attigue. Dopo il caso Seravezza, dove la riapertura di alcune cave chiuse e la conciliazione pro-privato di un’escavazione abusiva sul Monte Altissimo ha attivato la protesta della comunità locale, il nuovo terreno di scontro tra visioni di sviluppo territoriale è passato a Massa. Il Comune apuano guidato dalla giunta Persiani (Lega) ha infatti stabilito la riapertura di sette cave dismesse tramite una pianificazione urbanistica – i Piani Attuattivi dei Bacini Estrattivi (PABE) – che è riuscita a garantire ai concessionari dell’estrazione 3,3 milioni di metri cubi di nuova escavazione pur indicando nelle sue premesse l’obiettivo di innalzare “la qualità del territorio e dell’ambiente” e il “contrasto di consumo di nuovo suolo”.

Simbolo della lotta tra interessi contrapposti: la “Cresta degli Amari”, cava chiusa dal 1980, oggi pendio rinaturalizzato del Parco delle Alpi Apuane nei cui pressi si sviluppa un’ambita meta di arrampicata sportiva – la falesia “Campaccio” – che raccoglie ogni anno appassionati da ogni parte d’Italia. Il Comune di Massa ha deliberato il suo ritorno ad area di escavazione, negando legittimità alle osservazioni avanzate da chi da anni ha creato economia sulla tutela e valorizzazione dell’area nel complesso limitrofo Pian della Fioba. Tra questi l’associazione Aquilegia guidata da Andrea Ribolini che proprio a Pian della Fioba gestisce l’Orto Botanico della Alpi Apuane “Pellegrini-Ansaldi”, patrimonio di biodiversità a un chilometro in linea d’aria dalla Cresta degli Amari, divenuto meta prediletta di studenti e neoleureati da tutta Italia dei corsi di Scienze della Vita.

“La scelta di riaprire la Cresta degli Amari danneggia undici anni di lavoro di valorizzazione di Pian della Fioba in ottica turistica. Lavoro portato avanti da noi, dal rifugio Città di Massa e dalle guide” spiega a ilfattoquotidiano.it Ribolini che sottolinea come intorno a questa oasi di pace e natura insistano già altre cinque cave attive. “Mentre invitiamo i turisti a godere del silenzio del bosco – precisa Ribolini – ci sono momenti che sembra di essere nel cantiere del Tav per il rumore. Con la riapertura della Cresta degli Amari sarà ancora peggio e ce la riaprono di fronte”. Quando il sindaco di Massa passò da queste parti nel 2023, durante la campagna elettorale per il secondo mandato, promise “lo stralcio della riapertura della cava” ricorda a ilfattoquotidiano.it il presidente di Aquilegia: “Ora ci sentiamo traditi”, precisa, perché al momento della delibera finale, Persiani e la sua maggioranza hanno confermato la riattivazione. Il sindaco di Massa, interpellato da Ilfattoquotidiano.it al riguardo, non ha risposto alle nostre domande dopo due settimane di rinvii.

La riapertura delle sette cave ripropone inoltre il problema dell’impatto dell’escavazione sulle sorgenti d’acqua. Ogni riapertura di cava equivale infatti a un aumento degli sversamenti nei corsi d’acqua dello scarto più inquinante dell’escavazione del marmo, la marmettola: una fanghiglia biancastra con metalli pesanti che si deposita negli alvei dei corsi d’acqua, annichilisce la vita fluviale togliendovi ossigeno e produce effetti nefasti in circostanze alluvionali. Lo stesso Comune di Massa, nella scheda dedicata alla riapertura della cava Cresta degli Amari, precisa che l’escavazione autorizzata sia in “interferenza con le sorgenti d’acqua” di una frazione abitata, quindi potenziale inquinante di questa, con marmettola. “Arpat ha chiarito da tempo che il sistema è inquinante – spiega a ilfattoquotidiano.it Nicola Cavazzuti di Rifondazione Comunista, qui alleata del Movimento 5 Stelle nel Polo Progressista -, la questione è politica: quanto si vuole continuare a far inquinare per il profitto di pochi e con un ritorno in termini di occupazione che è crollato del 35% dalla metà degli anni novanta al 2020”.

Nella zona infatti il marmo occupa circa duemila persone, tra escavazione e lavorazione. Pochi se si considera che il comparto viaggia su utili sul fatturato intorno al 50%, unici nel panorama manifatturiero. “Si sono persi 800 posti di lavoro a valle e circa 100 a monte negli ultimi 25 anni” chiarisce Cavazzuti, “mentre il profitto resta ai concessionari: chi lavora otto ore in cava, lavora le prime due per il proprio salario e le restanti sei per il profitto dell’azienda che li paga”. Questo nonostante il prodotto venduto sia quantitativamente sempre meno pregiato: secondo dati Legambiente, il 77% dell’escavato non sono infatti blocchi di marmo funzionali alla produzione artistica ed ornamentale, ma ghiaie e detriti, come quelli usati da riempitivo per la nuova Diga di Genova che erano sulla draga Guang Rong finita contro il pontile della città di Massa e lì rimasta dal 28 gennaio 2025 a pochi giorni fa.

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