A proposito della ‘morbosa’ riforma della separazione delle carriere. Condivisibile? Io dico superflua
Il dibattito sulla separazione delle carriere dei magistrati può essere analizzato da tre punti di vista: quello tecnico, quello del cittadino e quello politico.
Cominciamo dalla parte tecnica. Di cosa si parla? È un argomento che pochissimi conoscono, perciò lo illustriamo in modo elementare: un tizio ruba un’auto, la polizia lo arresta e quindi il giorno dopo finisce in un’aula di Tribunale per essere processato. Nell’aula ci sono il suo avvocato, che lo difende, e il Pubblico Ministero, che lo accusa. Seduto sullo scranno più alto, invece, c’è il giudice, che dovrà decidere se assolverlo o condannarlo. Il giudice e l’avvocato si danno del lei e mantengono un contegno formale, al contrario di quanto accade per il pm, che non solo si dà del tu con il giudice, ma che forse la sera prima era a cena a casa sua. Come mai questa differenza di atteggiamenti? Perché, essendo entrambi magistrati e colleghi, hanno logicamente un rapporto informale e amichevole. C’è un evidente squilibrio fra le parti. Anche se quel giudice è assolutamente imparziale, l’imputato e il suo difensore avranno sempre il sospetto/timore che possa favorire il collega pm sposandone la tesi accusatoria. Inoltre, appartenendo entrambi alla magistratura, oggi pm e giudici possono scambiarsi i ruoli, per cui gli inquirenti hanno la possibilità di diventare giudicanti e viceversa. E probabilmente nella nuova funzione conserverebbero l’atteggiamento mentale della precedente, cioè garantista per l’ex giudice e manettaro per l’ex pm.
La riforma di cui parliamo interviene proprio su questo punto: sdoppia le carriere, per cui domani chi farà il pm e chi farà il giudice, lo farà a vita. Non si potrà più passare da un ruolo all’altro e non saranno più colleghi, quindi il sospetto di possibili favoritismi non avrebbe più motivo di esistere.
Tecnicamente, non sarebbe una riforma sbagliata. Certo, i magistrati vi si oppongono perché è una categoria che non ama essere toccata in alcun modo dal potere esecutivo, ma anche perché fa comodo aprire e chiudere le porte girevoli fra carriera giudicante e inquirente. Inoltre, supportati dall’opposizione, paventano il timore che con questa riforma il governo intenda realizzare l’antico sogno della destra di porre il pm sotto la direzione del ministro della Giustizia. In realtà, nella legge non si fa il minimo accenno a questa finalità. Quindi, se la decontestualizziamo dal dibattito politico, questa riforma mi pare tutto sommato condivisibile.
Ma a un certo punto si alza la voce del cittadino che ignora cosa significa “separazione delle carriere dei magistrati”. Anche se politicamente è presentata dalla maggioranza come una rivoluzione della Giustizia, in verità è solo una piccola modifica che non comporterebbe né lo snellimento delle procedure del processo, né l’introduzione di maggiori garanzie per l’imputato. Anche il ministro Nordio l’ha ammesso. Ma allora perché la maggioranza si è concentrata per mesi e mesi su questa riforma, se non è utile a nulla e non interessa a nessuno? Semplice. Perché da una trentina di anni i partiti della destra hanno battuto sul concetto che la magistratura è politicizzata ed è un ostacolo all’attività dell’esecutivo “democraticamente eletto”. Se la inseriamo in questo contesto, allora la separazione delle carriere potrebbe in effetti essere il primo passo per portare il pm sotto la direzione del governo, concludendo così la battaglia iniziata da Silvio Berlusconi: perché, una volta separato il pm dai giudici, è più semplice procedere con un’altra riforma. Si comincia sempre con un passo alla volta.
E la domanda che si pone il cittadino comune è un’altra: anziché impegnarvi a colpire un organismo che comunque funziona, perché non schierate la Guardia di Finanza per combattere, in modo “finalmente” serio, l’evasione fiscale e la corruzione? E le mafie. E perché non raddrizzate la Sanità pubblica, che, quando chiedi al Cup di fare un’ecodoppler urgente, quasi ti senti ridere in faccia perché non ci sono disponibilità per mesi, a meno che non si tirino fuori trecento euro per farsela da un privato che il giorno dopo ti accoglie nel suo elegante studio? Perché, dopo aver eliminato l’evasione fiscale, la corruzione e le mafie, grazie ai miliardi reintrodotti nelle casse dello Stato, non adeguate gli stipendi della gente che, a fronte dell’aumento del 24% del carrello della spesa negli ultimi due anni, sono rimasti pressoché identici? Tutto questo si potrebbe fare, basterebbe volerlo.
Ci sono troppi interventi ben più seri e importanti da attuare che non separare pm e giudici. Anziché sprecare tempo e denaro in riforme superflue e di pura immagine, rimboccatevi le maniche e fate qualcosa di veramente utile per i cittadini. Leggo sulla stampa che due giorni fa ad Atreju la premier Meloni ha detto a gran voce: “Votate perché non ci debba più essere una vergogna come quella che stiamo rivedendo a Garlasco, ultimo caso solo dal punto di vista temporale di una giustizia che va profondamente riformata”. La folla, ovviamente, ha applaudito a scena aperta, ma la presunta riforma delle carriere dei magistrati non c’entra niente con la faccenda di Garlasco. Niente, assolutamente niente. Meloni lo sa bene, ma sa anche che nella politica si possono dare alla gente verità di comodo. Intorno a questa riforma ci sono troppi rami secchi, e personalmente al referendum voterò “NO”.
Se è vero che è un riordino tecnicamente giusto, è vero anche che ha delle finalità pericolose, tanto da poterla tranquillamente definire una riforma “morbosa”.