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La Consulta conferma che un salario minimo locale si può fare: ora serve la partecipazione dei lavoratori

Ora la questione salariale deve andare in cima all’agenda politica: dalla risposta a questa questione si definirà il futuro del Paese
La Consulta conferma che un salario minimo locale si può fare: ora serve la partecipazione dei lavoratori
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6,75€ lordi. È la miseria – chiamatela, se volete, paga oraria – con cui vengono retribuiti gli undici lavoratori del servizio portineria della Regione Puglia.

Come loro, in tutta Italia, decine di migliaia. Portieri, vigilanti, addetti alle pulizie, educatori, operatori sociosanitari e chi più ne ha più ne metta. Lavoratori per il pubblico senza essere lavoratori pubblici; un esercito la cui caratteristica comune è l’essere pagati con salari da fame.

Ora, però, per gli undici addetti al servizio portineria della Regione Puglia si potrebbe aprire un capitolo nuovo. Il Governo Meloni, infatti, ha ricevuto uno schiaffo in piena faccia con la decisione della Corte Costituzionale, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 17 dicembre: la sentenza 188/2025 considera inammissibile il ricorso con cui l’esecutivo impugnava la legge 30/2024 della Regione Puglia e provava così a bloccare l’istituzione di un “salario minimo” regionale.

D’ora in poi, invece, la legge 30/2024 – definitivamente valida – imporrà alle imprese che parteciperanno ai bandi per appalti della Regione Puglia non solo l’applicazione del contratto collettivo nazionale (Ccnl) indicato nella gara – come da Codice Appalti del 2023 – ma anche il pagamento della soglia minima oraria di 9€ lordi.

Oggi tace l’ultradestra; è raggiante, al contrario, il centrosinistra. Ma, più che lo scontro politico, ciò che deve interessarci è la possibilità di miglioramento concreto delle vite di migliaia e migliaia di uomini e donne.

La Corte Costituzionale, infatti, ribadisce nei fatti l’importanza di un campo di battaglia che avevo evidenziato fin da quando l’opposizione di Meloni & Co. all’introduzione di un salario minimo a livello nazionale si era dimostrata irreversibile: gli enti locali.

Oggi Regioni, aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, agenzie regionali, enti strumentali regionali, nonché i Comuni e le municipalizzate, sono tra i principali “erogatori” di lavoro precario ma soprattutto miserrimo.

Da lì si può partire per imporre condizioni minime di dignità e iniziare ad affrontare sul livello territoriale la più grande questione aperta da quarant’anni a questa parte nel Belpaese: la questione salariale.

Perché i salari sono fermi. O, meglio, precipitati ancor più verso il basso in questi anni: nella stragrande maggioranza dei settori i rinnovi contrattuali – lì dove ci sono stati – non hanno tenuto il passo con l’aumento dei prezzi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: potere d’acquisto crollato dell’8,8% tra il 2021 e il 2025, con un picco del -10,2% al Sud. Di fronte al crollo dei salari, il continuo richiamo del Governo Meloni sui record dell’occupazione – dati veri, non fake news – lascia il tempo che trova. Perché se il lavoro dev’essere lo strumento per potersi garantire una vita dignitosa, come prescrive la stessa Costituzione all’articolo 36, troppe occupazioni oggi non ti permettono nemmeno di sopravvivere.

Se però una rondine non fa primavera, altrettanto una legge regionale – o una norma comunale – non fa il salario minimo. Perché abbiamo già visto titoloni di giornale esaltare l’approvazione di un salario minimo comunale in diverse città italiane (Firenze, Napoli, Genova, ecc.), per poi scoprire che alle parole – e agli atti – non seguivano i fatti.

Come è accaduto nella Genova del nuovo idolo del centrosinistra, la sindaca Salis: a luglio 2025 viene approvata una delibera che introduce il salario minimo comunale di 9€ l’ora, una “misura concreta per fermare il lavoro povero pagato con i soldi pubblici” (parole della sindaca Salis); tutto giusto, se non fosse che poi, alla lettura di uno dei bandi pubblicati dopo l’approvazione della delibera, si scopriva che alle imprese era permessa l’applicazione del Ccnl floricoltori, che prevede anche paghe da poco più di 7€ l’ora.

La buona notizia è che la Corte Costituzionale ci conferma che un salario minimo locale si può fare. Ma per trasformare la possibilità in realtà servono la partecipazione e il protagonismo di lavoratori e lavoratrici.

In primo luogo per spingere per approvare delibere e leggi che lo introducano, questo salario minimo. E magari più alto dei 9€ su cui verte la proposta del centrosinistra, considerato che con la mega-inflazione di questi anni è una cifra assai bassa. Nemmeno più i 10€ proposti come Potere al Popolo rischiano di essere sufficienti, figuriamoci meno!

In secondo luogo, laddove le norme siano già state approvate, attraverso un controllo popolare che porti a verificare che i nuovi bandi prevedano effettivamente la soglia minima del salario minimo e non consentano scappatoie alle imprese concorrenti.

Infine, utilizzando la mobilitazione ente per ente, Comune per Comune, Regione per Regione, come percorso per costruire un blocco sociale e politico che ponga la questione salariale in cima all’agenda del Paese. Perché dalla risposta a questa questione si definirà il futuro del nostro Paese e della sua classe lavoratrice.

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