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La svolta a destra dell’America Latina: i ‘tradimenti’ della sinistra hanno spianato la strada alla “Internazionale ultraconservatrice”

Laddove i governi progressisti falliscono, rompendo le alleanze con i movimenti sociali e scegliendo una linea di compatibilità con i poteri economici e finanziari, si aprono spazi per le destre, incluse quelle apertamente negazioniste
La svolta a destra dell’America Latina: i ‘tradimenti’ della sinistra hanno spianato la strada alla “Internazionale ultraconservatrice”
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La vittoria di José Antonio Kast in Cile è l’ultimo episodio di un ciclo politico che, in America Latina, ha segnato tutto il 2025: dalle elezioni presidenziali in Ecuador, Bolivia e Honduras, a quelle territoriali in Argentina e Brasile, in un contesto segnato da una netta avanzata della destra più radicale, sempre più saldamente inserita in un asse che guarda al duo Trump/Milei. La vittoria di Kast è certamente la più rumorosa per il profilo del personaggio e forse la più dolorosa sul piano storico. Ma non è un’eccezione. Al contrario, sembra inserirsi in una tendenza ormai riconoscibile: laddove i governi progressisti falliscono, rompendo le alleanze con i movimenti sociali e scegliendo una linea di compatibilità con i poteri economici e finanziari, si aprono spazi per le destre, incluse quelle apertamente negazioniste.

Le differenze tra i Paesi sono evidenti e impediscono qualsiasi copia-incolla analitico. Eppure, osservando le dinamiche emerge una costante. Gabriel Boric vinse le elezioni in Cile nel 2021 spinto dall’estallido social e dal referendum del 2020 che apriva alla riforma della Costituzione. Una spinta che, una volta al governo, si è progressivamente tradotta in tentennamenti, a partire proprio dal terreno costituzionale. In Argentina, Sergio Massa era sostenuto da un accordo con i movimenti sociali ma il suo governo si è mosso dentro una crisi inflazionistica fuori controllo che ha ulteriormente eroso consenso e credibilità. In Ecuador, Rafael Correa ha lasciato un’eredità talmente problematica che l’anti-correismo è diventato sport nazionale, al punto che settori rilevanti delle popolazioni indigene hanno preferito sostenere il figlio del più grande produttore di banane del Paese, Daniel Noboa, piuttosto che un candidato progressista. In Bolivia, il Movimento per il Socialismo, per bramosia di potere, cattiva gestione e incapacità di emanciparsi dall’estrattivismo, ha dilapidato uno dei più grandi sogni collettivi di inizio secolo: dalla lotta per la difesa dell’acqua e del gas a movimento politico capace di vincere le elezioni. Un processo che ha finito per consegnare il Paese a un presidente di area democristiana come Rodrigo Paz Pereira che, una volta eletto, ha rapidamente accelerato il proprio spostamento verso l’ala destra del continente. E l’elenco potrebbe continuare.

Se già all’inizio degli anni Duemila, con il fallimento dell’ondata progressista, si era assistito a un ritorno generalizzato dei governi neoliberisti, oggi lo scenario per la sinistra appare più cupo. Chi arriva al governo non esprime soltanto pulsioni turbo-capitaliste, ma anche una cultura apertamente repressiva. Le disuguaglianze crescenti rendono funzionali governi autoritari, pronti a prevenire o reprimere i conflitti sociali, ed è così che i grandi poteri economici oggi non esitano più ad accettare governi dichiaratamente post-fascisti. Il sociologo venezuelano Emiliano Terán Mantovani scrive: “Così come è accaduto con Milei, molta gente dei settori popolari ha votato per Kast. Lo hanno votato nei quartieri popolari, nelle aree rurali e nelle regioni estreme. María Corina Machado è oggi la figura politica che in Venezuela riesce a mobilitare più persone, provenienti da tutti i settori sociali e da tutte le regioni del Paese. Alcuni fanno ricorso all’ignoranza per spiegare l’avanzata di questi settori nell’elettorato, altri chiamano in causa i processi di ‘destroizzazione sociale’. Ci sono, in effetti, diversi fattori in gioco. Ma questo è anche il risultato delle conseguenze che ci ha lasciato la gran parte dei progressismi, conseguenze politiche, nel tessuto sociale, conseguenze economiche. Boric, il MAS, il kirchnerismo hanno anch’essi spianato la strada a questo tetro scenario regionale in cui ci troviamo. Quello che viene chiamato il ‘fenomeno María Corina’ è anche un prodotto delle conseguenze dello stesso governo di Maduro“.

Nella stessa direzione va Valentina Vergara, giornalista e attivista cilena: “Il continente è strategico per la sua ricchezza di risorse. Si punta a ridurre l’influenza cinese nella regione. Si osservano due dinamiche. La prima è la sostituzione del vecchio consenso neoliberale — che includeva sia la destra liberale sia il progressismo liberale — con una nuova forma di interventismo ultraconservatore transnazionale. La seconda è l’articolazione di una sorta di ‘Internazionale ultraconservatrice’ che mira a ristrutturare le forme di vita e l’ordine discorsivo, fondato su ‘ordine, patria e famiglia‘”.

Quello che emerge, non solo in America Latina, è che l’incapacità dell’opzione progressista di costruire, anche attraverso il governo, un modello sociale capace di rispondere ai bisogni diffusi e di entrare in conflitto radicale con gli interessi del capitale apre spazi sempre più ampi alle destre. Destre che si fanno via via più radicali e che si propongono come “alternative”, conquistando i partiti tradizionali o dando vita a nuove formazioni attorno a leader carismatici, capaci di presentarsi come “contro sistema” e “il nuovo che avanza”, ma anche rassicurare, individuando e attaccando presunti nemici e problemi.

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