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Che fine ha fatto Jean-Marc Bosman? La sentenza ha arricchito i suoi colleghi calciatori, “io invece ho perso tutto”

L'uomo che 30 anni fa con la sua vittoria in tribunale ha cambiato il mondo del calcio è sparito dai radar: ha affrontato alcolismo, depressione e anche una condanna per aggressione. Nelle ultime interviste, risalenti al 2015, raccontava di non aver ricevuto solidarietà e aiuto
Che fine ha fatto Jean-Marc Bosman? La sentenza ha arricchito i suoi colleghi calciatori, “io invece ho perso tutto”
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L’uomo che ha liberato le frontiere del calcio e ha arricchito la sua categoria è sparito dai radar – anche nel piccolo Belgio c’è nebbia sulla sua situazione attuale – e non ha vissuto anni tranquilli dopo la famosa sentenza del 1995 che porta il suo nome. Jean-Marc Bosman, 61 anni, ultimo domicilio segnalato nella periferia di Liegi, non si è negato nulla: attività imprenditoriali sbagliate, alcolismo, depressione, persino una condanna in carcere nel 2013 con la condizionale per l’aggressione alla sua ex compagna. Il risarcimento stabilito dalla Corte di Giustizia Europea (350mila franchi svizzeri) è stato bruciato dalle spese processuali e dalle parcelle degli avvocati. Anche una partita organizzata per raccogliere fondi da devolvere sul suo conto si rivelò un flop. Bosman appare oggi, per le informazioni che abbiamo, un uomo solo, allontanato dal mondo del calcio e abbandonato al suo destino anche dai suoi legali: l’unica domanda alla quale l’avvocato Dupont non ha voluto rispondere riguarda infatti i suoi rapporti con l’ex calciatore del RCF Liegi.

Le ultime interviste che lo riguardano risalgono al 2015, quando fu celebrato il ventennale della sentenzaBosman. Al tabloid inglese Sun, raccontò: “Ho vinto in tribunale, ma poi ho perso tutto. La gente pensa che io abbia messo da parte una fortuna, ma la mia presunta fortuna non arriverebbe a pagare nemmeno un giorno dello stipendio di Wayne Rooney. I soldi presi dalla FifPro e il risarcimento stabilito dalla corte sono stati inghiottiti dagli avvocati e dalle spese processuali. La mia carriera finì il 15 dicembre 1995. Quando tornai in Belgio, dopo aver giocato in un paio di squadre all’estero, lo Charleroi mi offrì un salario bassissimo perché sapevano chi ero e per loro rappresentavo un rischio. I soldi che mi proposero non bastavano neppure per pagare l’affitto di casa. Tornai a Liegi e trasformai il garage dei miei genitori in un monolocale per vivere. Quando i miei avvocati contattavano i club per permettermi di tornare a giocare, la risposta era sempre la stessa: ‘No, grazie. Auguriamo buona fortuna al signor Bosman, ma noi abbiamo già i nostri calciatori’”.

Bosman vendette le due case che possedeva e due Porsche. Finiti anche quei soldi e fallito il tentativo di produrre magliette con il suo nome bruciando gli ultimi risparmi (11mila dollari), si ritrovò con le tasche vuote: “La pressione attorno al mio caso è stata enorme – le dichiarazioni riportate sempre nel 2015 dal Sun -. Il mio avvocato sapeva che mi avrebbero fatto sputare sangue e disse che potevo fermarmi quando volevo, ma la faccenda era troppo importante e io decisi di proseguire. In genere, quando vinci in tribunale, ti senti libero, ma la stampa belga si scatenò contro: sono finito in depressione e ho cominciato a bere, sempre di più, fino al ricovero in ospedale. Dovrei essere il giocatore più famoso del Belgio, ho il mio posto nella storia e ho combattuto a lungo per conquistarlo. Non voglio aver fatto tutto questo per niente. Sono felice dei guadagni dei miei ex colleghi, non sono geloso di questo. Ho sacrificato la mia carriera affinché non fossimo più trattati come schiavi. Voglio solo che il merito mi sia riconosciuto e che la gente sappia che, se esiste una legge Bosman, esiste perché un ragazzo ha dato tutto per ottenerla”.

Bosman lavorò qualche tempo come giardiniere, ma nel 2010 rimase disoccupato, con un sussidio mensile di 573 euro, cancellato successivamente dallo stato belga perché, come raccontò all’emittente olandese NOS “mi accusarono di non aver fatto abbastanza sforzi per trovare un lavoro. Nessun giocatore mi ha contattato per ringraziarmi. I calciatori, grazie alla mia battaglia, hanno oggi il diritto di circolare come altri lavoratori e non vengono trattati come cavalli, orsi, polli o mucche”. Ai tedeschi di Deutsche Welle, ancora nel 2015, Bosman raccontò: “Quando vinsi l’appello finale, nel 1998, la nazionale olandese venne a trovarmi a casa. C’erano giocatori come i fratelli Ronald e Frank de Boer. Mi invitarono a Rotterdam per vedere la partita tra Olanda e Belgio. Tutti gli olandesi mi diedero i loro bonus partita e chiesero ai belgi di fare lo stesso, ma la federazione belga vietò qualsiasi gesto di solidarietà da parte dei giocatori. I belgi chiesero persino agli olandesi di non darmi i loro bonus, ma gli olandesi mantennero la promessa. E’ stata una delle rare occasioni in cui i miei ex colleghi hanno compiuto un bel gesto a favore del sottoscritto”.

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