Economia

L’audizione al Parlamento Ue: “Le vecchie patrimoniali hanno fallito. Ma tassare i super ricchi si deve e si può: ecco come”

Mentre Pier Silvio Berlusconi fa sapere che la patrimoniale non gli piace, l'economista Gabriel Zucman torna a spiegare la necessità di una tassa minima sui grandi patrimoni con soglia altissima e senza esenzioni. Per ridurre l'elusione va accompagnata da una exit tax sfruttando lo scambio automatico di informazioni oggi in vigore tra oltre cento giurisdizioni

Mentre Pier Silvio Berlusconi puntualizza, per chi avesse dei dubbi, che l’idea di una patrimoniale non gli piace, la proposta di un’imposta minima europea sui super-ricchi prova a rientrare nell’agenda politica di Bruxelles. La commissione Fisco del Parlamento europeo ha ospitato giovedì un’audizione dedicata all’imposizione sulla grande ricchezza: ospite d’onore l’economista Gabriel Zucman, che ha […]

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Mentre Pier Silvio Berlusconi puntualizza, per chi avesse dei dubbi, che l’idea di una patrimoniale non gli piace, la proposta di un’imposta minima europea sui super-ricchi prova a rientrare nell’agenda politica di Bruxelles. La commissione Fisco del Parlamento europeo ha ospitato giovedì un’audizione dedicata all’imposizione sulla grande ricchezza: ospite d’onore l’economista Gabriel Zucman, che ha promosso la proposta di una tassa minima sui miliardari presentata lo scorso anno ai leader del G20. Il suo Osservatorio fiscale europeo ha presentato per l’occasione una nuova analisi commissionata dalla fondazione Friedrich Ebert, che smonta molti luoghi comuni sulle patrimoniali tradizionali e propone un modello diverso, costruito per colpire la ricchezza estrema.

Il punto di partenza del report – “Wealth taxes and high-net-worth individuals in Europe”, firmato da Zucman con Giulia Varaschin e Quentin Parrinello – sono i dati: negli ultimi quarant’anni, la quota di ricchezza detenuta dallo 0,1% più ricco in Europa è salita dall’8,5 all’11%, quasi quattro volte quella del 50% più povero. Questo mentre, secondo le stime di Zucman e altri accademici, le aliquote effettive pagate dai miliardari sono inferiori a quelle della classe media. Da qui la questione politica: come costruire un’imposta che colpisca la ricchezza estrema imparando dagli errori delle vecchie patrimoniali europee?

Il brief presentato all’organismo guidato da Pasquale Tridico ricostruisce la parabola delle wealth tax adottate in passato da Francia, Svezia, Danimarca e Finlandia spiegando perché hanno raccolto poco e generato molta opposizione. Le soglie erano troppo basse: fino a 150-250mila euro nei casi di Svezia e Finlandia, ben sotto i livelli di reddito a partire dai quali i sistemi fiscali di molti Paesi avanzati diventano regressivi. Di conseguenza quelle tasse andavano spesso a colpire famiglie la cui ricchezza era immobilizzata in case o piccole imprese, creando problemi di liquidità. Per attenuarli, i governi hanno introdotto esenzioni e sconti sulle valutazioni, soprattutto riguardo agli asset d’impresa. Correttivi che hanno finito per aprire varchi di cui il top 0,1% ha approfittato per riorganizzare i propri patrimoni ed eludere il prelievo. Con il risultato di ridurre moltissimo il gettito e l’efficacia delle misure.

La narrativa della “fuga dei ricchi”, sottolinea il documento, è invece largamente infondata. Gli studi su Francia, Danimarca, Svezia e Regno Unito mostrano che gli effetti della tassazione della grande ricchezza sulla mobilità dei contribuenti più facoltosi sono marginali, con impatti quasi nulli su investimenti e occupazione. Il vero limite dei vecchi modelli sta insomma nel modo in cui erano stati disegnati.

Zucman e l’EU Tax Observatory propongono una rivoluzione copernicana: soglie altissime (a partire da 100 milioni di patrimonio netto), nessuna esenzione e un meccanismo di tassazione minima che integra l’imposta nel sistema esistente. La logica è semplice: se l’insieme delle tasse già pagate da un ultra-ricco non raggiunge una certa percentuale del patrimonio, scatta un conguaglio. Non si tratta quindi di un’imposta aggiuntiva, ma di un livello minimo sotto il quale non sarebbe consentito scendere.

Il modello si regge su due pilastri politici cruciali. Il primo è l’applicazione rigorosa delle exit tax e delle regole di “trailing residence”, meccanismi che consentono a uno Stato di continuare a tassare una persona – per un periodo limitato e su specifiche base imponibili – anche dopo che ha cambiato residenza. Il secondo è l’infrastruttura di scambio automatico di informazioni oggi in vigore tra oltre cento giurisdizioni, che negli ultimi anni ha ridotto drasticamente l’evasione offshore e rende più credibile qualunque tentativo di tassare la ricchezza finanziaria.

Una tassa minima europea anche con aliquote molto basse (1-2%), come calcolato più volte da Zucman, sarebbe in grado di produrre un gettito importante con cui finanziare investimenti in istruzione, sanità e transizione verde. Oltre a rappresentare un segnale politico forte in vista della correzione di un sistema che oggi è regressivo proprio al vertice della distribuzione dei redditi. “Lo studio fa chiarezza una volta per tutte sulle problematiche fiscali e sulle forti diseguaglianze che oggi l’Ue affronta”, commenta Pasquale Tridico, capodelegazione del Movimento 5 Stelle e presidente della Commissione. “La ricchezza estrema in Europa è cresciuta molto negli ultimi decenni: lo 0,1% degli ultraricchi possiede oggi circa l’11% della ricchezza totale, più di quattro volte quella detenuta dal 50% più povero. La cosiddetta proposta Zucman prevede un meccanismo top-up che porta al 3% la tassazione minima sul patrimonio superiore ai 100 milioni di euro. Questa aliquota verrebbe applicata ad appena 600 persone in tutta l’Unione europea per un gettito fiscale di 121 miliardi di euro. Questa proposta non tassa le case o i risparmi dei cittadini e quindi non comporta effetti indesiderati che possano spaventare il ceto medio”.