Violenza sessuale, il Regno Unito verso una riforma epocale: le vittime saranno protette in tribunale dall’accusa di essere “bugiarde seriali”
Il 2 dicembre il governo britannico ha annunciato una riforma epocale dei processi per stupro in Inghilterra e Galles, con l’obiettivo dichiarato di proteggere le vittime dallo stigma della serial liar, la “bugiarda seriale”. Una volta implementata, la riforma limiterà la possibilità, per la difesa, di utilizzare precedenti denunce di abusi sessuali, anche quelle mai arrivate a condanna o archiviate per mancanza di prove, per dipingere la persona offesa come inaffidabile davanti alla giuria. La norma aggiorna il Criminal Justice Act 2003 restringendo drasticamente l’ammissibilità in dibattimento della storia sessuale passata della vittima o di sue segnalazioni pregresse di violenza sessuale, elementi che potranno essere introdotti solo in circostanze eccezionali, previa autorizzazione del giudice e solo quando esista un solido valore probatorio e non un mero tentativo di alimentare stereotipi misogini.
Sarà anche più semplice ammettere in giudizio le condanne precedenti dell’imputato per reati sessuali o di violenza domestica, inclusi abusi commessi contro altre vittime, per dimostrare uno schema ripetuto di comportamenti predatori senza dover più superare soglie quasi insormontabili di “analogia sostanziale” con il caso in esame. Il governo punta a una progressiva entrata in vigore a partire dal 2026, con una combinazione di modifiche legislative e cambiamenti pratici nelle prassi di polizia, Crown Prosecution Service e tribunali, anche attraverso progetti pilota nei principali centri giudiziari prima della piena applicazione su scala nazionale. Sono stati annunciati investimenti complessivi per circa 550 milioni di sterline in due anni per il supporto alle vittime.
I numeri che hanno reso politicamente inevitabile la riforma sono drammatici. Da marzo 2024 a marzo 2025 la polizia ha registrato 97.317 tra incidenti e reati di stupro, un record assoluto e in forte crescita rispetto a dieci anni fa, a conferma di una tendenza di lungo periodo all’aumento delle denunce formali di violenza sessuale. Nonostante questo, solo il 2,8% dei reati di stupro registrati dalla polizia arriva a incriminazione formale e ancora meno al dibattimento vero e proprio davanti a una giuria. Il tasso di condanna nei processi per stupro fra adulti è intorno al 55–60%: in quasi la metà dei casi che arrivano a giudizio l’esito è l’assoluzione, spesso motivata con “mancanza di prove”.
Briciole rispetto all’incidenza delle violenze. Il Crime Survey for England and Wales stima che ogni anno circa 740.000 donne, all’incirca 1 su 30, subiscano uno stupro, un tentato stupro o un’aggressione sessuale grave. Secondo Rape Crisis e ONS, circa 5 vittime su 6 non denunciano mai alla polizia, per paura di non essere credute o di subire umiliazioni nel percorso giudiziario. I tempi di risposta: la media per arrivare a un’eventuale incriminazione supera ormai l’anno, per molti reati sessuali i tempi d’attesa fino al processo sfiorano o superano i quattro anni, periodo in cui moltissime vittime rinunciano o crollano psicologicamente.
La “vittimizzazione secondaria” è documentata da anni dalle organizzazioni specializzate. Una ricerca recente di Rape Crisis indica che circa il 70% delle sopravvissute descrive l’esperienza in aula come se fosse lei stessa “sotto processo”. Nella pratica, in una quota rilevante dei procedimenti per violenza contro le donne le denunce precedenti, anche se archiviate o mai arrivate a processo, sono state utilizzate per suggerire alla giuria che si tratti di mitomania, e nel 2024 circa un caso su dieci si è chiuso per ritiro della parte offesa. Le difese hanno spesso chiesto e ottenuto accesso a cartelle terapeutiche, diari scolastici o messaggi privati risalenti anche a decenni prima per cercare contraddizioni da usare in controesame, con un impatto particolarmente pesante sulle donne nere e appartenenti a minoranze etniche, per le quali la probabilità di revittimizzazione e sfiducia nel sistema risulta significativamente più alta.
Per Maxime Rowson, responsabile delle politiche di Rape Crisis England & Wales, se attuata correttamente questa legge dovrebbe finalmente impedire che le donne vengano screditate e controinterrogate su esperienze passate irrilevanti e profondamente dolorose, spostando l’attenzione sul comportamento dell’imputato invece che sulla vita privata della vittima. Andrea Simon, direttrice della End Violence Against Women Coalition, ha definito la riforma un “momento spartiacque” per la giustizia in materia di violenza sessuale, ma ha sottolineato che senza risorse adeguate e una formazione obbligatoria per giudici e avvocati dell’accusa e della difesa il rischio è che la legge resti in larga parte sulla carta. La coalizione “Bad Experiences Not Bad Character”, considera la riforma una vittoria storica, ma chiede un’accelerazione parlamentare immediata perché ogni mese di ritardo significa migliaia di sopravvissute ancora esposte allo stesso trattamento umiliante in aula.
L’impatto simbolico è comunque enorme: per la prima volta il sistema penale inglese e gallese inizia a mettere in discussione l’idea che la vulnerabilità delle vittime sia una prova di menzogna, e riconosce che la violenza sessuale ripetuta non dimostra che “non è successo niente”. Al contrario, è spesso la tragica conseguenza di un sistema che non ha saputo proteggere le vittime dall’inizio.