
Il campionissimo della racchetta era anche un amante del pallone e un tifoso della Lazio: celebri i suoi allenamenti con Maestrelli e le sue partite a calcio a cinque insieme a Garrincha
Nicola Pietrangeli, uno dei tre più grandi tennisti italiani di sempre con Adriano Panatta e Jannik Sinner, ha sempre avuto un legame molto forte con il pallone. Un amore che, a detta sua, avrebbe potuto cambiare la sua storia e, con un bel po’ di ironia e di autostima, anche quella del calcio stesso.
Pietrangeli, tifoso della Lazio (che lo ha omaggiato con la frase: “Grazie Nicola, per tutto ciò che hai rappresentato e continui a rappresentare”), non ha mai nascosto di aver praticato il calcio in gioventù. La sua carriera prese una direzione diversa, ma l’arguzia non gli è mai mancata nel rievocare quel bivio. “Se a diciotto anni non avessi smesso per fare il tennista – dichiarò con una bonaria e divertita mancanza di umiltà – non si sarebbe sentito parlare di Gianni Rivera“. Questa passione lo portò, anche a carriera tennistica quasi conclusa, a frequentare nuovamente l’ambiente calcistico. Proprio nel 1970, anno cruciale per il tennis italiano che lo vide sconfitto in finale agli Assoluti dal giovanissimo Adriano Panatta, Pietrangeli si ritrovò a partecipare a un popolare torneo di calcetto a Roma, che attirava regolarmente un folto pubblico.
Fu proprio in quei campi ridotti che avvenne un incontro eccezionale: quello con la leggenda brasiliana Garrincha. L’ala destra brasiliana si trovava a Roma in quel periodo, seguendo la moglie, la cantante Elsa Soares, e per sbarcare il lunario partecipava ai tornei locali di calcio a cinque. Pietrangeli, coetaneo del campione brasiliano, lo incrociò in diverse situazioni di gioco. “Io ero forte – raccontava Pietrangeli – ma lui avrebbe potuto ancora fare il professionista. Lo ricordo molto umile ma che in campo sapeva ancora divertirsi e divertire”. Il tennista ricordò poi il cambiamento di quel torneo, nato per gli iscritti dei Canottieri, che vide le squadre iniziare a ingaggiare calciatori professionisti da fuori, presumibilmente con scambi di denaro, pur non avendo lui visto direttamente il passaggio di denaro al giocatore brasiliano, che sicuramente ci sarà stato.
Il legame di Pietrangeli con il calcio non si limitò a tornei amatoriali. Per tenersi in forma, il tennista si allenò per parecchi mesi con la squadra della Lazio guidata da Tommaso Maestrelli. Una permanenza ben più lunga di un paio di sedute – come fece, ad esempio, lo stesso Mané Garrincha – a testimonianza di quanto la palla e il campo verde fossero parte integrante della sua vita sportiva.
La grande passione per il calcio lo portò anche a seguire i grandi eventi. Sempre nel 1970, con i suoi quasi 37 anni e un tennis ormai in fase calante (quell’anno non venne convocato per la Davis in favore del giovane Panatta, che non aveva ancora 20 anni, dal suo ex compagno Orlando Sirola), Pietrangeli volò in Messico per il Mondiale di calcio. Con alcuni amici, grazie ad uno sponsor, riuscì ad arrivare a Città del Messico e seguire parte del mondiale, provando l’ansia del tifoso in tribuna, e seguendo la “partita del secolo” Italia-Germania 4-3. Al rientro in hotel, in taxi con gli amici, il suo commento alla prestazione degli Azzurri, nonostante l’incredibile vittoria, fu una critica benevola ai connazionali: “Non dovevamo chiuderci tanto in difesa!”.
Tra un campo da tennis e l’altro, anche da capitano non giocatore della squadra italiana che conquistò la Coppa Davis nel 1976, Nicola Pietrangeli ha sempre mantenuto il cuore legato al suo club biancoceleste. Un legame che la Lazio ha voluto da poco ribadire, omaggiandolo, così: “Ricordiamo Nicola Pietrangeli, leggenda del tennis italiano e appassionato della nostra Lazio. Un campione che ha portato in alto l’Italia della racchetta e che ha sempre portato la Lazio nel cuore. Nel 1974 si allenava con la squadra che avrebbe conquistato lo Scudetto, condividendo passione, spirito e colori”.