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La pace impossibile: perché la crisi economica russa è l’unica vera leva dell’Occidente

L’Ue sta cercando di correggere la bozza dell’accordo: difficilmente la Russia accetterà. In realtà, Zelens’ski sta perdendo il Donbass, ma Putin sta perdendo l’economia
La pace impossibile: perché la crisi economica russa è l’unica vera leva dell’Occidente
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La diplomazia internazionale ha prodotto, nei secoli, personaggi bizzarri e trattati improbabili. Ma raramente aveva osato tanto quanto negli ultimi giorni, quando un documento — chiamarlo “piano di pace” è un atto di notevole fantasia — è apparso come un coniglio sbucato dal cilindro di un prestigiatore russo in trasferta a Washington. Un elenco surreale di concessioni, premi, privilegi e amnesie giuridiche che avrebbero fatto arrossire perfino il più spregiudicato dei diplomatici vittoriani.

Eppure, ciò che stupisce non è la sua esistenza, ma la normalità con cui è stato inizialmente accolto in una Casa Bianca impegnata, per così dire, in attività parallele: ridefinire la nozione di legge, rinegoziare le basi della democrazia e, tra un tweet e l’altro, ricollocare gli Stati Uniti nel mondo come una sorta di joint venture tra oligarchi locali e investitori stranieri.

Il primo indizio l’abbiamo avuto quando il “piano di pace” di Trump su Gaza è passato all’Onu grazie all’astensione congiunta di Russia e Cina. Eventualità più rara di un buon caffè nei corridoi delle Nazioni Unite. A quel punto la domanda era inevitabile: se Putin lascia a Trump il Medio Oriente, cosa vuole in cambio?

La risposta è arrivata puntuale: Putin vuole la sua “pace” in Ucraina —, dove la Russia tiene tutto ciò che ha occupato e altro, mentre l’Ucraina si ritrova a firmare una capitolazione travestita da compromesso. E Trump pare intenzionato a offrirgliela. Dopotutto, è lo stesso Trump che — con la sua proverbiale eleganza — a Zelensky spiegò: “Tu non hai le carte.” Le carte per Trump sono la potenza nuda e cruda: chi ce l’ha comanda, chi non ce l’ha s’inchina.

Ma dietro il muso duro della geopolitica c’è anche un aspetto contabile. Trump ha perso la guerra dei dazi con la Cina, quella diplomatica con l’Europa, e ora è impegnato nella guerra interna contro lo Stato di diritto americano, mentre lo scandalo Epstein lo lambisce. In attesa di conquistare la Svezia – unico modo per arrivare al Nobel -, prepara le sue annessioni (Groenlandia, Panama), minaccia governi indesiderati (Venezuela) e, naturalmente, promuove “accordi di pace” che somigliano più a vendite all’asta di pezzi di sovranità altrui.

Se c’è un modello di riferimento per l’immaginario trumpiano, non è la democrazia americana, ormai trattata come una vecchia lampada a cui dare un’ultima passata di straccio, ma la Russia di Putin: un’autocrazia solida, patriarcale, con oligarchi ben nutriti, oppositori imprigionati o peggio, minoranze etniche arruolate a fare da carne da cannone, e un presidente che nessuno può contraddire senza volare misteriosamente dalla finestra.

Anche il vicepresidente JD Vance — coccolato dai tech-bros suprematisti — considera la democrazia americana un ingombro. Meglio una versione aggiornata dell’autocrazia putiniana, magari alimentata da petrolio saudita, gas emiratino, oro sudanese e terre rare ucraine.

Il “piano” russo-americano è un capolavoro dell’assurdo. Inizia annunciando che “la sovranità dell’Ucraina sarà confermata”, per poi passare ventisette punti a demolirla con delicatezza da elefante. L’Ucraina dovrebbe ridurre il suo esercito, cambiare la Costituzione, rinunciare a scegliere i propri alleati, consegnare territori, accettare elezioni in piena guerra e accogliere come normali le richieste amministrative dell’invasore.

La Russia, invece, non deve fare praticamente nulla. Nessun ritiro, nessun risarcimento, nessuna ammissione, nessuna limitazione militare. Al contrario: la revoca delle sanzioni, il ritorno nel G8, investimenti globali e perfino un “fondo congiunto” con cui — traduzione letterale — dividere tra americani e russi i profitti delle risorse ucraine. Somiglia straordinariamente a un’estorsione.

Ma tutto ciò è pericolosissimo per il mondo. Perché – premiando un aggressore – invita chiunque abbia un esercito e un confine a provarci. Perché distrugge il diritto internazionale: la legge del più forte diventa l’unica legge, in un mondo dove tutto è negoziabile, tranne la forza. Perché spinge alla proliferazione nucleare. Il messaggio è: sopravvive solo chi ha la bomba. Risultato: tutti inizieranno a costruire armi nucleari; la probabilità di un conflitto atomico aumenta in modo esponenziale. Perché “pace” è anche ricostruire attraendo investimenti, votare liberamente, partecipare alle istituzioni internazionali: tutte cose che il documento russo nega.

La pace non può essere il risultato di un patto tra autocrazie e miliardari. Non può essere una svendita di diritti e popoli. E non può essere affidata a leader che trasformano la diplomazia in un’asta. La pace richiede verità — quella che Putin cancella e che Trump distorce. Richiede democrazia, diritto, partecipazione — degli ucraini, degli europei. E soprattutto richiede una cosa semplice e rivoluzionaria: che il mondo smetta di premiare l’aggressione e ricominci a difendere la libertà. Altrimenti sarà solo la quiete che precede la tempesta.

L’Ue sta cercando di correggere la bozza dell’accordo: difficilmente la Russia accetterà. In realtà, Zelens’ski sta perdendo il Donbass, ma Putin sta perdendo l’economia. Il recente crollo delle esportazioni di petrolio e gas affonda le entrate dello Stato; la pressione fiscale e l’inflazione soffocano famiglie e imprese. La Russia ha assoluto bisogno di uscire dalle sanzioni. Ma Putin preferisce continuare il conflitto: arretrare minerebbe la sua legittimità. Per costringerlo a negoziare, solo sanzioni più dure e coordinate possono rendere la guerra insostenibile.

(Si ringraziano Elena Janeczek e Timothy Snyder)

P.S. Ieri sera a Piazza Pulita (59’-1,20’ ) Jeffrey Sachs e Vittorio Emanuele Parsi hanno fieramente dibattuto sulle cause della guerra. “La Russia non vuole l’Ucraina nella Nato!”. “No, nell’Ue!”. Poco dopo, in Kirghizistan, Putin ha smentito entrambi: “Se l’Ucraina si ritira dal Donbass la guerra cessa. Altrimenti ce lo prendiamo con la forza”. Chiaro, no? Ora per favore possiamo parlare d’altro?

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