Meno responsabilità per le aziende che inquinano: in Ue un voto paradossale!
di Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale Campagna Abiti Puliti
Mentre alla COP30 si discute di come accelerare la mitigazione climatica, il Parlamento europeo va nella direzione opposta. Ieri ha approvato Omnibus I, il pacchetto con cui la Commissione intende modificare alcune normative chiave del Green Deal. Il voto introduce cambiamenti sostanziali alla Direttiva sulla due-diligence di sostenibilità aziendale (CSDDD) e alla Direttiva sul reporting non finanziario (CSRD). Il risultato è chiaro: meno imprese obbligate a rendere conto degli impatti ambientali e sociali, meno trasparenza, meno responsabilità.
È paradossale: nello stesso giorno in cui il Parlamento approva la European Climate Law con l’obiettivo di ridurre le emissioni del 90% entro il 2040, decide di ridurre gli strumenti di responsabilità delle imprese. Senza obblighi vincolanti, le politiche green rischiano di restare solo dichiarazioni di intenti. Nell’interesse di chi?
Omnibus I si presenta come “meno burocrazia, più semplificazione”, ma nella pratica esclude molte aziende dagli obblighi di rendicontazione ambientale e sociale:
– CSDDD: soglia portata da 1.000 a 5.000 dipendenti e da €450 milioni a €1,5 miliardi di fatturato.
– CSRD: obblighi limitati alle imprese con oltre 1.750 dipendenti e fatturato annuo superiore a €450 milioni.
Quali sono le conseguenze? Con Omnibus I, la responsabilità delle imprese sugli impatti ambientali e sociali diventa più debole: meno aziende soggette agli obblighi significa maggiore rischio che danni restino invisibili, meno tutela per lavoratori e comunità e un indebolimento del principio “chi inquina/viola diritti paga”.
Quante imprese europee rientrano nella fascia 1.000–5.000 dipendenti e fatturato €450 milioni–€1,5 miliardi? Non ci sono dati pubblici precisi, ma la maggior parte delle aziende europee è molto più piccola: circa il 99% ha meno di 50 dipendenti. Le nuove soglie del pacchetto Omnibus I escludono quindi la maggioranza delle imprese, amplificando l’effetto di riduzione di responsabilità e trasparenza.
L’appello di Campagna Abiti puliti
La direzione intrapresa a Bruxelles trova già eco nel nostro Paese: il Ddl Pmi, approvato al Senato, va nella stessa linea di riduzione degli obblighi di responsabilità e nasconde un pericoloso scudo penale per le aziende capofila, anche in caso di caporalato nella subfornitura. La discussione imminente alla Camera rappresenta l’ultima possibilità per evitare che anche l’Italia recepisca un modello che rischia di aggravare le vulnerabilità dei lavoratori, delle lavoratrici e delle comunità, ampliando spazi di sfruttamento nelle filiere.
Per questo, insieme a oltre 25 organizzazioni fra sindacati e ong nazionali, abbiamo lanciato l’appello No al caporalato made in Italy: non possiamo permettere che, nel nome della semplificazione, non si mettano in atto strumenti fondamentali di tutela e di controllo.
Chiediamo ai deputati e alle deputate della Camera di respingere ulteriori arretramenti e di scegliere una strada diversa da quella indicata dal Parlamento europeo: una direzione che rafforzi la responsabilità delle imprese e che tuteli il tessuto sano delle nostre PMI, che protegga chi lavora e che metta al centro la giustizia sociale e ambientale. Oggi più che mai servono istituzioni coraggiose, capaci di difendere il bene comune e non gli interessi di pochi e di breve periodo.